Lara Nicolini, Ad (l)usum lectoris: etimologia e giochi di parole in Apuleio.
Graverini, Luca
LARA NICOLINI, Ad (l)usum lectoris: etimologia e giochi di parole
in Apuleio.
2011. Pp. 220. Patron Editore. Paperback, 18 [euro].
ISBN 9788855531085
Dedicare un volume intero, e non propriamente breve, ai giochi di
parole di Apuleio potrebbe sembrare a prima vista un'impresa
destinata a scarso successo: da una parte, la lingua e lo stile del
retore e romanziere africano sono stati gia ampiamente studiati, e le
sue opere commentate; dall'altra, come si sa, spiegare una battuta
o un gioco di parole e certamente il modo migliore per rovinarle.
Eppure, Apuleio e ancora evidentemente capace di sorprendere, e lo
stesso vale per Lara Nicolini: il suo lavoro ci fa rendere conto di
quanto sofisticata sia la scrittura di Apuleio, e di quanto ancora,
nonostante la gran mole di lavoro che ad essa e stato dedicato, la sua
lingua necessiti di essere studiata. Il quadro che ne emerge, infatti,
ci rivela un Apuleio solo in parte gia noto; e, oltre a illuminare di
senso molti passi con analisi dettagliate, ci permette anche di
delineare alcuni tratti piu generali della figura del Madaurense.
Il primo capitolo prende le mosse da un gioco di parole finora
passato inosservato (Venere che a 10,6,2-3, annunciando a Psiche che
dovra mettere ordine in una seminum passivam congeriem, dice alla
ragazza tuam frugem periclitabor: dove il senso originale e non
metaforico di frugem allude implicitamente alla natura della prova che
attende Psiche) per passare ad una breve esposizione generale della
scienza etimologica degli antichi e del suo sfruttamento da parte di
poeti e letterati. Viene anche affrontata la delicata questione della
necessita di identificare criteri che permettano di evitare
sovrainterpretazioni, vedendo nel testo allusioni e giochi di parole che
vanno molto al di la dell'intenzionalita dell'autore. (1)
Impresa questa importante e necessaria, anche se in fondo--considerando
anche quanto il concetto stesso di 'intenzionalita
dell'autore' sia indebolito dalla critica contemporanea--la
responsabilita ultima di ogni decisione in proposito non puo che
risiedere nella sensibilita dell'interprete; e quella di N.,
affinata da molti anni di studi apuleiani e non, e senz'altro degna
della massima fiducia.
La parte piu stimolante di questa prima sezione, e forse
dell'intero volume, cerca di dare una spiegazione anche biografica
all'attenzione di Apuleio per la lingua, che lo porta a sfruttarne
potenzialita nascoste e, talvolta, a farle quasi violenza. Alla base di
questo sperimentalismo, per N., sta il fatto che Apuleio ha imparato il
latino (e poi anche il greco) come lingua straniera, essendo il punico
la sua lingua madre. Si tratta di un'intuizione avanzata quasi in
sordina da Griffiths e poi ripresa da altri autorevoli studiosi, (2) che
ora trova la piu ampia e argomentata conferma nel lavoro di N. per la
quale "e la consapevolezza lessicale continuamente esibita a
provare questo atteggiamento certamente non naturale, quasi agonistico,
nei confronti di quella che pure, forse anche molto presto, sara
diventata la sua [cioe di Apuleio] lingua principale" (p. 35).
Il secondo capitolo ("Giochi di parole in Apuleio")
affronta l'argomento in modo sistematico, categorizzando il
materiale raccolto in ben 10 sezioni nelle quali si dividono le diverse
tipologie di giochi di parole (1. "Figure etimologiche, poliptoti,
paronomasie"; 2. "Doppi sensi"; 3.
"'Ipersemantizzazione'. Scelte lessicali marcate e
addensamenti di significati"; 4. "'Prendere alla
lettera'. Doppi sensi di frasi idiomatiche e proverbiali"; 5.
"Resurrezione di metafore"; 6. "Hapax legomena e
innovazioni semantiche"; 7. "Il senso di Apuleio per la
lingua: uno strano hapax in met. 6,19"; 8. "Hapax su base
greca"; 9. "Fantasia ricostruttiva: gli hapax semantici";
10. "Innovazione su base lessicale ed enallage"). La
suddivisione e molto dettagliata, e anche se--come del resto e
inevitabile in questi casi--la precisa collocazione di qualche esempio
potrebbe essere oggetto di discussione, essa svolge un'utile
funzione euristica. Chi comunque non vuole impegnarsi in una lettura
'cover to cover' ma va in cerca di informazioni su passi
precisi e agevolato anche dai preziosi indici (Locorum, Nominum, Rerum,
Verborum latinorum, Verborum graecorum). La scelta del materiale
presentato e estremamente ampia, ma ovviamente non esaustiva: una
raccolta completa va esplicitamente, e giustamente, al di la degli scopi
del volume. La maggior parte dei brani analizzati proviene dalle
Metamorfosi, ma non mancano alcuni passi tratti da Apologia, Florida, e
trattati filosofici.
E veniamo finalmente ad alcuni esempi, capitolo per capitolo.
Apuleio, come e noto, ama accostare parole diverse collegate da
somiglianza di suono o identita (vera o presunta) di etimo, o parole
identiche con significati diversi. Questa tendenza da luogo a
espressioni talvolta piuttosto scontate, il cui effetto puo anche
risultare fiacco se non addirittura sgradevole--soprattutto a critici di
impostazione rigidamente classicistica come Eduard Norden che, come e
noto, non era affatto un ammiratore dello stile di Apuleio e lo
considerava troppo sonoro e quasi effeminato. Tali sono ad esempio met.
5,23,1 insatiabili animo ... satis curiosa; oppure 11,22,2 noctis
obscurae non obscuris imperiis ... monuit. In altri casi pero la
costruzione risulta piu complessa e meno evidente a prima vista, e con
cio stesso, naturalmente, piu interessante agli occhi del filologo e
meno passibile di censure stilistiche. Un ottimo esempio viene proprio
dal prologo del romanzo, che N. riesce a trattare con acume e
originalita nonostante si tratti del brano piu attentamente studiato di
tutte le Metamorfosi--e, forse, uno dei piu studiati in assoluto tra
tutti i testi letterari latini. Nella frase sermone isto Milesio varias
fabulas conseram l'autrice sottolinea non tanto il nesso fabulas
conserere, spesso evidenziato come costruzione standard nei commenti,
quanto la piu sottile connessione etimologica sermone ... conserere,
della quale in fondo la prima iunctura puo considerarsi un'istanza
particolare. Anche l'accostamento tra sermo e sero, naturalmente, e
nobilitato da molti precedenti letterari, ed e reimpiegato da Apuleio,
che spesso non si fa scrupoli a sfruttare ripetutamente un'arguzia
particolarmente riuscita, anche in altre occasioni, eventualmente con
variatio (ad es. 1,3,2 sermonem ... pertexere). Proprio il fatto che i
giochi di parole, a base etimologica e non, sono una caratteristica cosi
frequente dello stile apuleiano costituisce per N. una delle
argomentazioni che possono, e devono, essere chiamate in causa al
momento di scegliere tra restituzioni alternative del testo. Restando su
sero, il fatto che questo verbo sia sottoposto quasi sempre a un
'trattamento etimologico' da Apuleio e uno dei vari motivi
addotti da N. per i quali a met. 5,15,3 si dovrebbe considerare molto
seriamente la lezione ad destinatam fraudium pedicam sermonem
conserentes di un recenziore (registrata da Oudendorp ma trascurata da
tutte le edizioni moderne) contro il conferentes di F, accettato da
tutti gli editori. Tra parentesi, questo e uno dei casi che travalicano
la distinzione in categorie utilizzata dalla N., essendo prima accennato
al cap. 2.1 e poi ripreso con maggiore ampiezza al cap. 2.5.
Tra i doppi sensi, particolarmente brillante e quello di apol. 4
satis, ut puto, crinium crimen quod illi quasi capitale intenderunt,
refutatur. In questo brano una paronomasia piuttosto buffonesca ed
evidente, crimen crinium, prepara quella che, come anticipato da V.
Hunink, (3) e la vera pointe della frase: un'accusa riguardante i
capelli infatti diviene inevitabilmente, in bocca agli sconsiderati
accusatori di Apuleio, un crimine ... 'capitale'. N.
sottolinea giustamente come la lettura ad alta voce potesse e dovesse
enfatizzare la battuta con un uso sapiente di pause, volumi e
intonazioni. Aggiungerei che qui abbiamo anche una spia testuale del
gioco di parole nell'avverbio quasi, che sottolinea lo scostamento
tra senso reale e senso comico della frase alla quale si possono dare
due sensi possibili: "un'accusa tanto grave da essere quasi
passibile di morte", e "un'accusa molto grave, quasi ...
un'accusa capitale". Questo del resto rientrerebbe in una
tendenza ben rilevata da N., per cui avverbi come vere costituiscono
appunto spie testuali che possono servire ad allertare il
lettore/ascoltatore della presenza di un gioco di parole (per i
riferimenti si veda il lemma verus/vere, che piuttosto inaspettatamente
si trova nell'index rerum anziche nell' i. verborum). Nel
passo in questione, del resto, anche ut puto marca l'ingresso
dell'argomentazione in una sfera non oggettiva e personale, quindi
disponibile al comico.
Nelle Metamorfosi, alcuni doppi sensi sono nascosti, percepibili
soltanto ad un second-reader gia informato (almeno in modo generico) su
come andranno a finire gli eventi narrati 'in presa diretta'
da Lucio. Non per questo, naturalmente, essi devono essere trascurati o
attribuiti al caso: costituiscono anzi una prova concreta di come
Apuleio ingaggi continuamente il suo pubblico in un gioco interpretativo
che coinvolge sia il piano linguistico che quello piu generico del
'significato' del romanzo stesso. A questa categoria
appartengono espressioni come spiritus efflare, applicata a 2,32,6 a
quelli che per Lucio sono ladroni da lui uccisi, ma che in realta sono
solo degli otri gonfiati che il nostro eroe ha forato con la spada (e
spiritus efflare, variante scelta non a caso del piu comune animam
efflare, puo ben adattarsi ad ambedue le situazioni). Molti doppi sensi
sono costruiti sulla base di espressioni tecniche derivanti da lingue
specializzate, come quella del diritto. Raffinata, avvocatesca e insieme
scabrosa e la comicita che scaturisce dalla terminologia che il mugnaio
usa a 9,27,5 nei confronti del giovane sorpreso a letto con la moglie:
nec herciscundae familiae sed communi dividundo formula dimicabo, ut
sine ulla controversia vel dissensione tribus nobis in uno conveniat
lectulo. Il senso osceno di divido e gia ben evidenziato da commenti e
studi precedenti, ma si deve all'accurata analisi di N.
l'osservazione che anche convenio si colloca a meta tra linguaggio
erotico e giuridico. Del tutto originale invece e l'acuta
interpretazione (al par. 2.5) di met. 2,17,5 ad cuius noctis exemplar
similes adstruximus alias plusculas, dove N. sottolinea giustamente
l'uso di espressioni tecniche dell'architettura (ad ...
exemplar, adstruximus: frequenti i paralleli in Vitruvio) adattate
argutamente da Apuleio ad un contesto amatorio.
Molto simili a doppi sensi sono quei casi che che N. rubrica come
"ipersemantizzazioni". La differenza sta nel fatto che qui non
si ha un contrasto tra i possibili significati di un'espressione,
ma un sovraccarico di significato, con la sovrapposizione di
un'interpretazione 'pregnante' ad una
'normale'; cosa che, naturalmente, crea spesso problemi di
traduzione. Il caso di 10,3,6, dove la noverca si rivolge al figliastro
con parole molto ambigue, sarebbe forse meglio definito come doppio
senso tout court: nella frase habes capax necessarii facinoris otium si
esprime sia l'inevitabilita del facinus che la sua natura
incestuosa (se si prende necessarius nel senso di 'parente,
congiunto'). PiU calzante la definizione di
'ipersemantizzazione' in altre occasioni, come la frase
rivolta da Venere a Cerere e Giunone a 5,31,2 nec enim vos utique domus
meae famosa fabula et non dicendi filii mei facta latuerunt. N. riprende
qui, correttamente a parere di chi scrive, l'interpretazione di
Kenney per cui Cupido "non merita di esser chiamato figlio" di
Venere, ma allo stesso tempo e considerato dalla dea
"quell'infame di mio figlio", se si considera che non
dicendus = infamis.
Ancora riconducibili alla categoria generale dei doppi sensi sono
quelle espressioni che vengono usate normalmente in senso figurato, ma
che Apuleio impiega (soltanto, anche o soprattutto) nel loro senso
letterale. La definizione di anilis fabula applicata ad Amore e Psiche
(4,27,8) e forse l'esempio piu eclatante e studiato.
L'espressione ricorre nella letteratura filosofica e satirica nel
senso traslato di 'storia inutile, adatta ai bambini', ma in
Apuleio essa si adatta perfettamente anche alla concretezza della
situazione: Amore e Psiche e infatti narrata per l'appunto da una
vecchia--anzi, nella antica letteratura Amore e Psiche e, a quanto ne
sappiamo, l'unica 'storia da vecchie' narrata proprio da
una vecchia. Apuleio del resto sembra apprezzare particolarmente questo
tipo di ironia, e anche in altre occasioni crea equivalenti narrativi di
espressioni standard. (4) La cosa e molto evidente anche a 2,7,1 dove
Lucio decide di andare a casa e approcciare la serva Fotide; impulsivo
come sempre, passa subito dai pensieri ai fatti, dicendo pedibus in
sententiam meam vado--un'applicazione tutta particolare del sistema
di votazione per discessionem applicato nel Senato romano. Anche in
questo caso, il pun e sfruttato piu volte (cf. met. 6,32,3 e 7,10,2). A
questa situazione narrativa e applicata anche un'altra frase
formulare tipica delle deliberazioni senatorie: quod bonum felix et
faustum itaque, licet salutare non erit, Photis illa temptetur (2,6,8).
Qui N. concede forse troppo credito alla traduzione di Fo, (5) arguta ma
a mio parere non garantita dal contesto, per cui salutare conterrebbe
una maliziosa sfumatura sessuale ("anche se non troppo
igienico"). Al contrario, considerata la giusta disponibilita di N.
a prendere in considerazione anche giochi di parole che solo un
'second-reader' e in grado di comprendere, stupisce la sua
scarsa propensione a conferire a licet salutare non erit un significato
pertinente al livello extra-diegetico, cioe un'allusione alla
dinamica di caduta-salvezza che appare inevitabile accettare in qualche
modo, una volta giunti alla fine del romanzo. La connessione a questa
dinamica sembra del resto supportata dal fatto che la formula ricorre
anche, leggermente variata, in 11,29,5 (quod felix itaque ac faustum
salutareque tibi sit: detto in sogno dalla divinita a Lucio).
La sezione successiva esamina i casi in cui l'uso apuleiano
rivitalizza l'etimo di un'espressione le cui origini
metaforiche non sono piu percepite nell'uso comune ('metafore
morte'). Qui il caso piu interessante e congetturale: a 11,30,4
dove il dio Osiride prescrive a Lucio di non lasciarsi intimidire dalle
maldicenze degli invidiosi, il codice Laurenziano offre un testo
chiaramente corrotto: nec extimescerem malevolorum disseminationes quas
studiorum meorum laboriosa doctrina ibi deserviebat. Ovviamente
deserviebat non da senso, ed e stato oggetto di numerosi tentativi di
emendazione di vario pregio fino all'assai improbabile
devervefaciebat di Giarratano. La proposta di Oudendorp, ibidem serebat,
ha il pregio di combinare un alto grado di verosimiglianza paleografica
con un gioco di parole che ormai possiamo riconoscere per tipicamente
apuleiano, fondato sul recupero del senso primario di due parole come
disseminatio (il cui etimo e non piu percepito nell'uso) e sero.
Apuleio, si sa, si diceva orgoglioso creatore di parole in Apologia
38,3: non stupisce quindi incontrare anche nel romanzo molti hapax. N.
offre qui una pregevole trattazione ad es. del problematico inigninum a
7,203, e un'intera sezione (la 2.7) e dedicata ad una originale e
molto convincente analisi del polentacium/polentarium che si legge a
6,19,2. Non concordo con lei tuttavia nel ritenere horripilo (met.
3,24,5) un hapax assoluto e una creazione apuleiana: il ThLL attesta la
presenza del verbo nei glossari (il che non stupisce) ma anche nella
vetus Latina, e soprattutto l'esito italiano 'orripilare'
fa pensare che la parola fosse di uso comune e popolare piu che non la
creazione individuale di un letterato estroso. (6) Una sezione
successiva, la 2.8, e dedicata agli hapax su base greca; N. osserva
giustamente che "a differenza di quanto accade in Plauto, in
Apuleio i composti non fanno mai violenza alla lingua; mancano ad es.
gli ibridi e anche i composti a piu di due membri, e poche sono anche le
innovazioni nell'uso dei suffissi" (p. 141 s.).
La ricerca di effetti comici, ma anche "una sorta di
insofferenza per il banale" portano alla frequente presenza, nella
lingua apuleiana, di hapax semantici. Particolarmente acuta e
convincente oltre che innovativa, in questo ambito, e l'analisi di
9,33,4 una de cetera cohorte gallina per mediam cursitans aream clangore
genuino velut ovum parere gestiens personabat. L'uso di ceterus al
singolare e sembrato spesso sospetto; tuttavia N. lo spiega
efficacemente ricordando che il senso primario di cohors e quello di
'spazio destinato al pollame' (cfr. l'italiano
'cortile'); qui il termine subisce uno spostamento metonimico
e passa a significare direttamente le cohortis aves. Oltre a fornire
l'ennesimo esempio della liberta e originalita con cui Apuleio
utilizza la lingua latina, questa interpretazione spiega bene anche il
singolare ceterus, che in Apuleio e normale se seguito da nome
collettivo.
Innovazioni semantiche e originalita espressiva si possono ottenere
anche agendo sui rapporti sintattici tra le parole: Apuleio mostra in
effetti una certa propensione all'uso dell'enallage, a cui e
dedicata l'ultima sezione del volume. Interessante qui e il caso di
6,28,5, un altro brano in cui la pressione esercitata dall'estro di
Apuleio sulla lingua latina ha portato a sospettare dell'integrita
testuale del brano: setas incuria lavacri congestas et horridas compta
diligentia perpolibo. A creare problemi e naturalmente il nesso compta
diligentia: alla corruzione in cuncta di vari recenziori si aggiungono
alcune congetture dei filologi (ad es. prompta Robertson, ampla Helm).
Intervenire sul testo, tuttavia, e inutile: l'aggettivo compta,
forzatamente riferito a diligentia, e in fondo giustificato dal fatto
che tanta cura e applicata all'azione di 'pettinare' le
setole dell'asino. Naturalmente, tutto questo si rivela un vero
incubo per il traduttore: (7) rinunciando alla densita espressiva
dell'originale latino, si potrebbe forse azzardare "con
l'attenzione di un parrucchiere".
Per concludere, N. ci offre un nuovo e importante strumento per
comprendere quella costruzione difficile ma affascinante che e la lingua
di Apuleio. Lo fa sia offrendo materiale nuovo che sistematizzando e
spesso approfondendo intuizioni altrui, e fondandosi su una sensibilita
linguistica e filologica che, anche se in un lavoro come questo e
inevitabile non concordare su alcune questioni di dettaglio, e sempre di
ottimo livello. Molte delle osservazioni di N. sono destinate a lasciare
il segno nei futuri lavori su Apuleio, e nelle stesse edizioni del testo
delle Metamorfosi! (8)
(1) I punti di riferimento qui sono R. Maltby, The Limits of
Etymologising, "Aevum Antiquum" 6 (1993), 257-275; e J.J.
O'Hara, The Names. Vergil and the Alexandrian Tradition of
Etymological Wordplay, Ann Arbor (MI) 1996.
(2) J. Gwyn Griffiths, Apuleius of Madauros. The Isis Book
(Metamorphoses, Book XI), Leiden 1975, 59 s.; E.J. Kenney, Cupid and
Psyche, Cambridge 1990, 2; J.L. Hilton in S.J. Harrison, J.L. Hilton,
V.J.C. Hunink, Apuleius, Rhetorical Works, Oxford 2001, 126 s.; J.N.
Adams, The Regional Diversification of Latin, 200 B.C.-A.D. 600,
Cambridge 2003, 569-576.
(3) V. Hunink, Apuleius of Madauros. Pro se de magia (Apologia),
Amsterdam 1997, vol. II, p. 26 ad loc.
(4) Allo stesso modo, talvolta Apuleio rivitalizza a livello
narrativo dettagli secondari e ornamentali, come paragoni e
similitudini, da lui trovati in modelli epici: cf. E. Finkelpearl,
Metamorphosis of Language in Apuleius. A Study of Allusion in the Novel,
Ann Arbor, Univ. of Michigan Press 1988, 47 s.; L. Graverini, The Winged
Ass. Intertextuality and Narration in Apuleius' Metamorphoses, in:
S. Panayotakis--M. Zimmerman--W. Keulen (edd.), The Ancient Novel and
Beyond, Leiden-Boston, Brill 2003, 210 s.
(5) A. Fo, Apuleio. Le Metamorfosi o L'asino d'oro,
Milano, Frassinelli 2002 (poi anche Einaudi 2010).
(6) Qualche dubbio analogo ho sul fatto che l'aggettivo
congrex di 7,16,1 sia "con ogni probabilita" un conio di
Apuleio (p. 78). Sebbene Apuleio sia, a quanto ne sappiamo, il primo a
farne uso, Il ThLL riporta un discreto numero di attestazioni piu tarde,
soprattutto cristiane a partire da Tertulliano; si tratta probabilmente
anche in questo caso di un termine di uso popolare, recuperato da
Apuleio ma non altrimenti attestato in fonti letterarie precedenti.
(7) Forse spinta proprio da questa difficolta, nella sua edizione
con testo a fronte del 2005 N. adottava comptas di Kronenberg. Essa
tuttavia, come la stessa N. osserva in questa occasione (p. 172, n.
538), e impossibile: lascia il complemento di modo senza aggettivo, e
cio (oltre a sbilanciare la frase) renderebbe necessaria
l'integrazione di un cum. La dura enallage e invocata a difesa del
testo tradito gia da B.L. Hijmans Jr. et al., Apuleius Madaurensis.
Metamorphoses. Books VI 25-32 and VII, Groningen 1981, 52 ad loc., sulla
scia di H. Armini, Studia apuleiana, "Eranos" 26 (1928),
273-339, p. 303.
(8) I refusi che ho potuto rilevare sono molto pochi, e non vale
davvero la pena di darne conto. Piuttosto, poco condivisibile e la
scelta di non fornire, nelle numerosissime citazioni dalle Metamorfosi,
la suddivisione in paragrafi dell'edizione di Robertson (adottata
in questa recensione), che e divenuta ormai uno standard riconosciuto e
utilissimo per individuare velocemente i brani indicati.
Reviewed by Luca Graverini, University of Siena at Arezzo.
graverini@gmail.com