Giovanni Garbugino: Studi sul romanzo latino.
Nicolini, Lara ; Vannini, Giulio
GIOVANNI GarbuginO: Studi sul romanzo latino Alessandria, Edizioni
dell'Orso, Studi e Ricerche 85 2010. VIII, 121 pp. 16,00 [euro]
ISBN 978-88-6274-213-9
L'opera raccoglie cinque saggi di diversa ispirazione, gia
pubblicati o in corso di pubblicazione, accomunati fondamentalmente dal
fatto di essere incentrati su opere latine riconducibili a uno stesso
genere letterario che convenzionalmente si definisce
"romanzo": il Satyricon di Petronio, le Metamorfosi di Apuleio
e l'anonima Historia Apollonii regis Tyri. Premesso che negli
ultimi vent'anni su quest'argomento si e detto e scritto
moltissimo--si tratta forse del genere piu in voga nel dibattito
internazionale che, anche solo nell'ultimo biennio, gli ha dedicato
piu di una decina di congressi--e che dunque e difficile produrre ancora
qualcosa di originale, se non forse nel settore della critica testuale,
il libro di Garbugino sembra porsi, in modo molto apprezzabile, il fine
piu modesto di messa a punto (con esemplificazioni) di alcuni concetti
fondamentali.
Il primo saggio e dedicato al Satyricon e in particolare alla
possibilita che nell'opera Petronio intendesse polemizzare con gli
stoici e ridicolizzare Nerone; seguono due saggi apuleiani, incentrati
su episodi del romanzo che potrebbero avere valore simbolico piu
generale nell'ottica di un'interpretazione seria, edificante,
delle Metamorfosi; infine, a chiudere, due pezzi dedicati all'opera
forse piu misteriosa tra le tre, l'Historia Apollonii, recentemente
edita e commentata in modo tutt'altro che soddisfacente da
Kortekaas--uno dei due saggi costituisce in effetti una recensione al
commento.
Un'osservazione generale sul metodo, valida in particolare per
i saggi su Petronio e Apuleio, riguarda il trattamento della
bibliografia. G. mostra certamente un'eccellente conoscenza della
bibliografia petroniana e apuleiana, antica e recente. Il problema e che
non sempre a questa si accompagna un giudizio critico equilibrato, anzi
le opinioni degli studiosi precedenti vengono spesso recepite "als
Dictierte der Heilige Geist" e a quel punto trattate alla stregua
del testo, di certezze raggiunte e indiscutibili.
Inoltre carrellate di studi, che spesso giungono a risultati anche
opposti, come quelli sulla milesia (nel primo saggio), sulla Festa del
Riso (nel secondo) e su alcune inserzioni secondarie del romanzo (nel
terzo), si trovano assemblate in una mescolanza dai risultati non sempre
chiari. Le fonti bibliografiche citate, infine, meritavano forse un
minimo di differenziazione, mentre vediamo accolti sullo stesso piano, e
trattati come basi da cui partire, saggi di sostanza (si possono fare i
nomi di Dowden, Beck, Perry, Rosati) e contributi decisamente molto meno
seri (e lasciamo al lettore il compito di riconoscere questi ultimi).
Entriamo adesso nel merito degli studi.
Il lungo contributo dedicato al Satyricon ('La poetica di
Encolpio e il ritratto tacitiano di Petronio') affronta questioni
diverse che l'autore mette in relazione riprendendo il filo di
dibattiti che nella critica degli ultimi decenni sono stati
particolarmente accesi. Preliminarmente conviene precisare che la
condivisibile convinzione di G. e che il Satyricon non appartenga alla
tradizione menippea (non lo crede neanche Courtney, nonostante sia
citato come sostenitore di questa ipotesi nella nota 60), bensi a
quella, ugualmente poco nota, del "romanzo comico".
L'indagine di G. prende avvio da un interrogativo
tutt'altro che trascurato (per una sintesi delle posizioni piu
recenti cf. Lustrum 49, 2007, 276-278), ovvero se il carme quid me
constricta spectatis fronte Catones (132, 15) pronunciato da Encolpio
rappresenti o meno un manifesto poetico dell'autore. G. nota
opportunamente che, nel momento in cui si esprime in versi, Encolpio si
serve di un linguaggio poetico e di temi che dovevano essere
convenzionali fra i cultori della Musa lasciva, e questo da
l'impressione che il carme trascenda il contesto narrativo.
Nonostante cio, G. preferisce assumere una posizione intermedia: egli
ritiene che il poemetto sia da attribuire a Encolpio, ma che la distanza
tra lui e l'autore non debba essere esagerata.
Ammettiamo subito che secondo noi la corretta interpretazione del
carme e quella di quanti, come Roger Beck, lo riferiscono alla
precedente tirata di Encolpio, e che il distico dei vv. 2-3 costituisca
un'affermazione generale con cui Encolpio cerca di giustificarsi
per aver interloquito con la propria mentula: in particolare il v. 4 non
va interpretato come "la mia lingua racconta con semplicita cio che
fa la gente" (cosi G. e altri prima di lui) bensi "una candida
lingua riferisce anche cose volgari". Anche il testo tradito, che
G. segue al v. 7 ipse pater veri doctus Epicurus in arte / iussit (p. 8
nn. 20 e 21), non convince: oltre al fatto che iussit e privo di
complemento oggetto, desta sospetti l'allungamento in arsi poiche
presuppone che la cesura fra l'aggettivo e il sostantivo sia
abbastanza forte. La soluzione preferibile resta percio la congettura di
W. Canter (Nov. lect., Basileae 1564, III 14) che corregge in doctos ...
amare.
Secondo G., attraverso l'esternazione di Encolpio, Petr.
potrebbe addirittura replicare a "Catoni" reali. Rifacendosi
ad alcune intuizioni di Sullivan, egli ammette infatti che nel Satyricon
si possano rintracciare labili tracce di una polemica che avrebbe
contrapposto moralisti intransigenti e vicini allo stoicismo
rappresentati da Seneca, a personaggi piu tolleranti e non distanti
dalla filosofia epicurea come Petronio; un'opposizione che si
rifletterebbe nel diverso tipo di suicidio scelto dai due, almeno nel
resoconto fornitoci da Tacito. Pur non concedendo credito a grossolani
tentativi di individuare nel Satyricon segni evidenti di aderenza
all'epicureismo, G. e difatti pronto ad ammettere che, insieme al
realismo, l'epicureismo abbia avuto grande importanza nella
composizione dell'opera "in quanto determina la selezione
tematica e detta quelle priorita negative e degradate che sono
costitutive del realismo del Satyricon" (p. 17)--viene tuttavia da
chiedersi se temi e ambientazione degradata non fossero piuttosto
caratteristici del filone comico-licenzioso.
Se letto in un contesto di polemica tra Petronio e i moralisti
stoici, il carme in questione avrebbe potuto dunque suonare come una
replica "a critiche che i Catones stoici avevano effettivamente
rivolto a parti del romanzo gia rese note ... nel corso di alcune
letture pubbliche a corte" (p. 13), una congettura di Sullivan,
quest'ultima, teoricamente verosimile ma priva di fondamento. In
quest'ottica, la simplicitas petroniana sarebbe "nuova"
perche scaturirebbe da una morale tollerante e anticonformista ben
diversa da quella stoica--pur rimanendo nell'ambito della
congettura, e interessante il tentativo di individuare nella sentenza
che segue l'epigramma una frecciata contro una ficta severitas,
un'austerita artefatta, che era stata rinfacciata a Seneca.
A sostegno della sua interpretazione G. ipotizza che
nell'antichita il carme di Encolpio venisse gia letto come un carme
programmatico sulla base di supposte reminiscenze in Marziale e Tacito.
Questa supposizione e indubbiamente audace, proprio perche il carme
attinge a espressioni e temi convenzionali: ad es. in Mart. 1 ep. 7 non
intret Cato theatrum meum, piu che una reminiscenza petroniana, si
ripropone un'antonomasia diffusissima (cf. ThLL Onom. II, 269, 4
ss.). G. si situa inoltre fra quanti ritengono che la species
simplicitatis che Tacito attribuisce a Petronio alluda alla nova
simplicitas difesa da Encolpio. E proprio sulla possibile conoscenza del
Satyricon da parte di Tacito che e costruita l'ultima parte del
contributo, la quale presenta passaggi logici non sempre chiarissimi che
rendono il filo del discorso difficile da seguire: G. ipotizza infatti
che il ritratto tacitiano derivi sostanzialmente da Cluvio Rufo, ma sia
stato influenzato da una conoscenza diretta che Tacito ebbe del
Satyricon. Secondo G., e verosimile che Tacito fosse al corrente della
polemica fra Seneca e Petronio, e che un'accusa di falsa
simplicitas fosse stata mossa a Petronio da persone vicine agli Annei.
La species simplicitatis di cui parla Tacito potrebbe alludere a un
adeguamento di facciata alle circostanze, mentre di fatto il Satyricon
avrebbe messo in ridicolo Nerone e i suoi accoliti. A questo proposito
G. ribadisce una vecchia congettura secondo la quale i codicilli inviati
a Nerone e menzionati da Tacito sarebbero stati la chiave di lettura del
Satyricon, infarcito di velati riferimenti all'imperatore e ai suoi
partners--un'ipotesi, questa del "roman a cle", cui in
tempi recenti gli studiosi, con rare eccezioni, tendono a dare poco
credito.
In definitiva la prospettiva di G., pur essendo argomentata con
dovizia, risulta in piu punti poco chiara e giunge a conclusioni a
nostro parere anacronistiche: proprio oggi che si e in grado di
riconoscere che il Satyricon e un romanzo appartenente a un filone della
narrativa probabilmente parallelo a quello del romanzo serio, ogni
tentativo di attribuirgli finalita ulteriori a quella piu semplice del
divertere rischia di riportare sul testo la patina di interpretazioni
elaborate quando ancora una piu concreta definizione di "romanzo
comico-licenzioso" non aveva preso corpo e il significato ultimo di
un'opera frammentata e apparentemente bizzarra come il Satyricon
era ancora, in gran parte, sfuggente. Certo, un'interpretazione non
esclude l'altra, una finalita potrebbe non negare l'altra: ma
non e l'economia un principio sempre valido in filologia?
Il primo saggio apuleiano e incentrato sull'episodio della
Festa del Riso e si propone di dimostrare che si tratta di uno dei
momenti piu marcatamente "metanarrativi" del romanzo. La
possibilita di riguardare quest'episodio alla luce della superiore
conoscenza dell' auctor dovrebbe suggerire al lettore una
riflessione piu ponderata sui fatti e un senso piu profondo
dell'accaduto: quale sia pero questo guadagno in termini, diciamo
cosi, filosofici, non e chiarissimo; e nemmeno e chiaro in che senso le
vicende picaresche del modello siano rese da questo tipo di lettura
moralmente edificanti. Quale sia insomma il messaggio filosofico che
trasformerebbe "la comicita istintiva e fisica del modello greco
nella laetitia del sapiens" non e esplicitato ne si desume
facilmente. Il percorso logico che a questa conclusione porta e,
peraltro, un po' confuso e non sempre rigorosissimo: molte delle
prove offerte a sostegno della tesi, le prove a supporto della
dimostrazione, non provengono infatti dal testo stesso, ma sono
costituite dalle affermazioni (piu o meno fortunate) di studiosi
precedenti.
Da alcune osservazioni condivisibili per di piu si fanno scaturire
conclusioni forzate o in alcuni casi semplicemente non vere; ad es., che
la Festa del Riso rappresenti un momento in cui Lucio, da spettatore
attivo, si trasforma in "spettacolo" egli stesso (con rimando
alle osservazioni di Slater 2003) e un'osservazione abbastanza
neutra, per quanto non ne sia chiarissima l'utilita pratica finale;
che di qui in poi l'eroe "da ricercatore curioso" diventi
"oggetto della curiosita altrui"--con le conseguenze, ancora
non chiarissime, descritte a p. 46--semplicemente non e vero: se
c'e una cosa che proprio l'asino non suscita in tutto il libro
e la curiosita altrui, anzi e proprio l'indifferenza degli uomini
che gli garantira la possibilita di esplorare il mondo nella maniera piu
libera.
Ma piu grave e che a volte l'eccessiva fiducia nel giudizio
altrui porti l'autore a dimenticare cio che e piu importante: il
testo stesso. Daremo solo un esempio significativo di questo
procedimento, lasciando al lettore di rintracciarne i molti altri casi.
A p. 47 G. afferma che "l'attitudine critica nei confronti
delle istituzioni della comunita ipatense"--un dato di per se poco
suffragato dal testo, ma desunto da studi precedenti di Summers e
McCreight le cui conclusioni peraltro sono anche discutibili,--verrebbe
poi "confermata dal rifiuto che Lucio oppone agli onori promessigli
dalle autorita di Ipata", rifiuto che a sua volta preparerebbe
"la definitiva espulsione del protagonista" dal contesto
sociale. Ma questa lettura, che il testo non supporta--quali elementi
segnalano "la separazione del protagonista dal contesto
sociale", il suo "distacco dal precedente status di affermato
uomo d'affari"?--porta piuttosto a misconoscere un divertente
gioco di rottura dell'illusione narrativa tipicamente apuleiano. A
parte il fatto che i due eventi - rifiuto della statua e
metamorfosi--non sono, ne si possono porre, in alcuna consequenzialita
diretta ne indiretta; ma a parte cio, il rifiuto della statua e,
soprattutto, la richiesta esplicita di dedicare la statua a qualcuno piu
degno, e una mossa retorica con cui il lettore apuleiano e chiamato a
comprendere una precisa allusione.
Com'e reso evidente anche da alcune precise riprese lessicali,
dall'analogia del movimento retorico incentrato sulla modestia,
dalla peculiare scelta della seconda persona singolare in riferimento
all'intera citta (tibi gratiam memini, come in flor. 16, 47), qui
il riferimento da riconoscere e un dato reale, un fatto a cui Apuleio
teneva moltissimo, e cioe la celebre dedica della statua al filosofo
platonico Apuleio da parte dei cittadini di Cartagine. Persino il
termine con cui Lucio e qui definito, patronus, sembra uno scherzoso
rovesciamento della formula con cui Apuleio stesso si dichiarava alumnus
dello splendidissimo coetus di cittadini in flor. 18, 36. Si allude
cioe, se non a un preciso discorso di ringraziamento dei Florida, a un
evento di cui il lettore era certamente a conoscenza; quando Lucio
afferma "statuas et imagines dignioribus meique maioribus reservare
suadeo", al di sopra del personaggio si sta realizzando un gioco
molto simile a quello per cui ci viene spiegato che Apollo risponde in
latino "per riguardo nei confronti dell'autore della
Milesia" (met. 4, 32), o a quello per cui lo stesso Lucio, in forma
di asino e avendo ascoltato la famosa bella fabella, rimpiange di non
avere la penna per scriverla (cf. 6, 25 dolebam mehercules quod
pugillares et stilum non habebam qui ... fabellam praenotarem).
Ritroviamo qui insomma l'ennesimo caso di rottura
dell'illusione narrativa, con cui Apuleio strizza l'occhio al
suo lettore e ricorda la sua presenza dietro la narrazione.
Piu in generale, ogni conclusione definitiva sull'episodio in
questione e resa un po' azzardata anche dalla natura
dell'episodio stesso, una sorta di patchwork di elementi di varia
provenienza, assemblati senza diretta consequenzialita, come prova anche
la contraddizione continua provocata dalle diverse spiegazioni dei fatti
e la mancata soluzione degli stessi nel finale solo apparentemente
tranquillizzante: sembra piuttosto che la sequenza
dell'otricidio-Festa del Riso, mutuata--come lo stesso G. riconosce
- da una o piu fonti precedenti, rappresenti uno dei tanti casi di
moltiplicazione dei punti di vista che spiazzano il lettore e
contemporaneamente, lungi dal farla sospettare, contribuiscono semmai a
oscurare la prospettiva piu ampia della voce narrante. Per questi motivi
il saggio non persuade del tutto.
Analoghe considerazioni si possono fare per il saggio successivo,
in cui viene esposta come conclusione la possibilita che il bricolage
narrativo che negli ultimi libri assembla novelle "tragiche",
incentrate sulle peggiori passioni umane, risponda non solo
all'esigenza di esplorare il genere variegato della milesia, ma
anche a comunicare al lettore "verita spirituali": ma quali
siano queste verita e poco intuibile per il lettore, costretto a
districarsi in una selva di citazioni, e il saggio stesso sembra a sua
volta il frutto di un bricolage condotto sulla bibliografia precedente.
Curioso e poi l'andamento della dimostrazione che parte
dall'assunto che in Apuleio "il risus e il cachinnus, non
esenti da un certo sadismo" servano principalmente "a
ridicolizzare i personaggi" secondari e quello principale--in
contraddizione almeno apparente con quanto affermato nel primo saggio--e
che l'accentuazione del pathos e della serieta sia uno dei mezzi
con cui Apuleio tenta di cambiare il senso del racconto del suo modello
greco. Di qui si passa bruscamente a riconoscere l'eventuale
significato allegorico-morale delle avventure di Lucio, ricorrendo di
nuovo a una catena di osservazioni di vari studiosi precedenti,
utilizzate come dati acquisiti. Tra queste merita almeno un dubbio
critico l'idea di Sandy che nella frase latina di met. 11, 15, 1
(ad serviles delapsus voluptates curiositatis ... sinistrum praemium
reportasti) Apuleio abbia tentato di ricostruire una gerarchia di valori
attraverso una gerarchia sintattica: "se il sacerdote avesse voluto
mettere sullo stesso piano serviles voluptates e curiositas, avrebbe
detto: servilium voluptatum atque curiositatis ... sinistrum praemium
reportasti". E perche? Non e quasi necessario ricordare come la
giustapposizione di un participio congiunto quasi epesegetico nei
confronti della principale che lo regge sia, oltre che una costruzione
apuleiana frequente, una normale possibilita della lingua latina;
seppure volessimo inferire da questa disposizione sintattica una
mancanza di parallelismo che in qualche modo ci aspettavamo, basterebbe
una pura volonta di variatio e di movimento del periodo a giustificarla.
E invece l'idea discutibile di Sandy e ancora una volta chiamata a
supportare una conclusione--che il rapporto tra curiositas e serviles
voluptates non sia paritario--, sulla quale, incidentalmente, chi scrive
puo anche essere d'accordo, ma che certo non puo essere fondata su
simili basi. Molto migliore e la parte in cui G., allontanandosi dalla
bibliografia precedente, inizia un'utile digressione sul carattere
intrinsecamente "narrativo" dell'elemento curiositas come
motore dell'azione romanzesca. Interessanti anche le
osservazioni--che partono direttamente dal testo--sulla differenza di
percezione dello stesso elemento da parte di un personaggio diegetico
(il sacerdote Mitra) e dell'auctor stesso. Interessante la
distinzione tra giudizio morale e giudizio artistico nella valutazione
della curiositas.
Passiamo infine ai contributi sulla Historia Apollonii. Il primo
contributo, originariamente pubblicato in P. Chiesa--L. Castaldi, La
trasmissione dei testi latini del medioevo, Te.Tra. 3, Firenze 2008,
301-307, fornisce le coordinate principali della trasmissione del testo
sintetizzando alcuni dei risultati a cui l'autore era giunto nel
suo Enigmi dell'Historia Apollonii regis Tyri (Bologna 2004), per
lo piu nella parte incentrata sulle redazioni dell' Historia (cap.
I).
La storia del testo dell'Historia Apollonii, pur nelle sue
linee essenziali, e molto difficile da ricostruire, poiche il romanzo ci
e giunto attraverso recensioni diverse e non e chiaro come queste si
siano differenziate l'una dall'altra a partire da un
originale, del quale si stenta a intravedere la fisionomia primigenia e
a stabilire l'epoca di composizione. G. passa in rassegna le
principali teorie (di Riese, di Klebs, di Kortekaas) e affronta i nodi
salienti giungendo a conclusioni che a nostro modo di vedere
costituiscono un'equilibrata messa a punto di una questione su cui,
ancora oggi, non sembra esserci condivisione.
G. ammette la possibilita che l'Historia sia stata
originariamente scritta in greco tra la fine del II e gli inizi del III
sec. d.C. Le due recensioni latine principali (RA e RB) deriverebbero
tuttavia da una versione latina del romanzo redatta tra la fine del IV
secolo--epoca a cui probabilmente risalgono gli enigmi di Sinfosio o
Simposio confluiti nel romanzo--e il 568 d.C. - data in cui Venanzio
Fortunato menziona Apollonio. Questa ricostruzione, che si rifa in parte
agli studi di Klebs, e senz'altro piu verosimile di quella proposta
da Kortekaas, che fa derivare direttamente le due recensioni da una
versione in greco, ed e costretto a ipotizzare l'influenza di RA su
RB per spiegare i numerosi punti di contatto fra le due recensioni (a p.
78 si inverta la freccia che congiunge RA e RB). Il contributo e
concluso da un rapido bilancio delle principali edizioni critiche, di
Kortekaas (1984, 2004) e di Schmeling (1988), che si contraddistinguono
per un trattamento opposto del testo ossia, rispettivamente,
un'eccessiva fiducia nel testo tradito di contro a una vigorosa
tendenza normalizzatrice.
La scelta di ristampare in una raccolta di contributi sul romanzo
latino una recensione al commento di Kortekaas all'Historia
Apollonii (Leiden--Boston 2007), gia pubblicata in Gnomon (80, 2008,
301-307), e discutibile, anche perche alcune sue parti ripetono quanto
espresso dall'autore nell'articolo precedente. Per questo, e
per evitare l' improprium di una recensione della recensione, ci
limiteremo a segnalare gli apporti piu importanti della discussione di
G.
Due sono le critiche principali, mosse al lavoro di Kortekaas, che
ci sentiamo di sottoscrivere: il tentativo di risalire a
un'ipotetica facies greca e un'eccessiva fiducia nel testo
tradito che, nello sforzo di salvare peculiarita linguistiche piu o meno
raramente attestate nel latino tardo, equivale di fatto ad ammettere che
il testo dell' Historia sia andato immune dai piu comuni errori
della tradizione manoscritta. Si tratta di due caratteristiche che
contraddistinguono in negativo sia le due edizioni critiche di
Kortekaas, sia il suo commento, e la scelta di passi proposta da G.,
assai selettiva, lo esemplifica chiaramente e potrebbe essere ampliata a
dismisura.
A illustrare la ragionevolezza delle posizioni espresse da G.
riporteremo il solo esempio di 2 RA (nutrix) ut viditpuellam flebili
vultu ... roseo rubore perfusa, dove Kortekaas difende il testo tradito
con un perentorio "The nom. perfusa ... in apposition is
possible"; ma poiche il nominativo e il caso del soggetto, se non
si apporta l'impercettibile correzione perfusam ad arrossire e la
nutrice, e non la ragazza. A proposito di 8 RB apud bonos enim homines
amicitia pretium (b : pretio Ptc) non comparatur, sed innocentia, va
osservato che G. ha ragione a preferire l'ablativo
all'accusativo, ma in quanto e necessario un complemento di mezzo,
come chiarisce anche il successivo innocentia, e non perche
l'accusativo di prezzo "ricorre soltanto con nessi avverbiali
come quantum o plus" (p. 95): cf. cap. 33 (Tharsia) singulos aureos
populo patebit, che G. menziona per ragioni migliori subito sotto, e
Tab. Vindoland. II, 343, 38 ss. Frontinium Iulium audio magno licere pro
coriatione quem hic comparavit (denarios) quinos con J. N. Adams, JRS
85, 1995, 116.
In definitiva il volume, che presenta contributi di valore
disuguale, propone all'attenzione del lettore temi interessanti,
per quanto eterogenei e certamente non legati dal filo conduttore che
l'autore individua nell'analisi dei rapporti con il romanzo
greco e l'origine del genere. Pur non offrendo una visione unitaria
del "romanzo latino", e pur non giungendo a conclusioni sempre
persuasive, i cinque saggi contengono comunque utili spunti di
riflessione su Petronio e Apuleio, e una sintetica panoramica delle
principali questioni relative all'Historia Apollonii di cui G. e
esperto conoscitore. Dal punto di vista del metodo, in piu occasioni
avrebbe forse giovato un minore understatement unito a un piu deciso
individualismo dell'autore.
Reviewed by Lara Nicolini, Scuola Normale Superiore, Pisa,
l.nicolini@sns.it, and by Giulio Vannini, universita per Stranieri di
Perugia, g.vannini@sns.it. *
* Gli autori hanno lavorato fianco a fianco: a Nicolini si devono
le sezioni su Apuleio, a Vannini quelle su Petronio e l'Historia
Apollonii.