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  • 标题:Giovanni Garbugino: Studi sul romanzo latino.
  • 作者:Nicolini, Lara ; Vannini, Giulio
  • 期刊名称:Ancient Narrative
  • 印刷版ISSN:1568-3540
  • 出版年度:2011
  • 期号:January
  • 语种:English
  • 出版社:Barkhuis Publishing
  • 摘要:L'opera raccoglie cinque saggi di diversa ispirazione, gia pubblicati o in corso di pubblicazione, accomunati fondamentalmente dal fatto di essere incentrati su opere latine riconducibili a uno stesso genere letterario che convenzionalmente si definisce "romanzo": il Satyricon di Petronio, le Metamorfosi di Apuleio e l'anonima Historia Apollonii regis Tyri. Premesso che negli ultimi vent'anni su quest'argomento si e detto e scritto moltissimo--si tratta forse del genere piu in voga nel dibattito internazionale che, anche solo nell'ultimo biennio, gli ha dedicato piu di una decina di congressi--e che dunque e difficile produrre ancora qualcosa di originale, se non forse nel settore della critica testuale, il libro di Garbugino sembra porsi, in modo molto apprezzabile, il fine piu modesto di messa a punto (con esemplificazioni) di alcuni concetti fondamentali.

Giovanni Garbugino: Studi sul romanzo latino.


Nicolini, Lara ; Vannini, Giulio


GIOVANNI GarbuginO: Studi sul romanzo latino Alessandria, Edizioni dell'Orso, Studi e Ricerche 85 2010. VIII, 121 pp. 16,00 [euro] ISBN 978-88-6274-213-9

L'opera raccoglie cinque saggi di diversa ispirazione, gia pubblicati o in corso di pubblicazione, accomunati fondamentalmente dal fatto di essere incentrati su opere latine riconducibili a uno stesso genere letterario che convenzionalmente si definisce "romanzo": il Satyricon di Petronio, le Metamorfosi di Apuleio e l'anonima Historia Apollonii regis Tyri. Premesso che negli ultimi vent'anni su quest'argomento si e detto e scritto moltissimo--si tratta forse del genere piu in voga nel dibattito internazionale che, anche solo nell'ultimo biennio, gli ha dedicato piu di una decina di congressi--e che dunque e difficile produrre ancora qualcosa di originale, se non forse nel settore della critica testuale, il libro di Garbugino sembra porsi, in modo molto apprezzabile, il fine piu modesto di messa a punto (con esemplificazioni) di alcuni concetti fondamentali.

Il primo saggio e dedicato al Satyricon e in particolare alla possibilita che nell'opera Petronio intendesse polemizzare con gli stoici e ridicolizzare Nerone; seguono due saggi apuleiani, incentrati su episodi del romanzo che potrebbero avere valore simbolico piu generale nell'ottica di un'interpretazione seria, edificante, delle Metamorfosi; infine, a chiudere, due pezzi dedicati all'opera forse piu misteriosa tra le tre, l'Historia Apollonii, recentemente edita e commentata in modo tutt'altro che soddisfacente da Kortekaas--uno dei due saggi costituisce in effetti una recensione al commento.

Un'osservazione generale sul metodo, valida in particolare per i saggi su Petronio e Apuleio, riguarda il trattamento della bibliografia. G. mostra certamente un'eccellente conoscenza della bibliografia petroniana e apuleiana, antica e recente. Il problema e che non sempre a questa si accompagna un giudizio critico equilibrato, anzi le opinioni degli studiosi precedenti vengono spesso recepite "als Dictierte der Heilige Geist" e a quel punto trattate alla stregua del testo, di certezze raggiunte e indiscutibili.

Inoltre carrellate di studi, che spesso giungono a risultati anche opposti, come quelli sulla milesia (nel primo saggio), sulla Festa del Riso (nel secondo) e su alcune inserzioni secondarie del romanzo (nel terzo), si trovano assemblate in una mescolanza dai risultati non sempre chiari. Le fonti bibliografiche citate, infine, meritavano forse un minimo di differenziazione, mentre vediamo accolti sullo stesso piano, e trattati come basi da cui partire, saggi di sostanza (si possono fare i nomi di Dowden, Beck, Perry, Rosati) e contributi decisamente molto meno seri (e lasciamo al lettore il compito di riconoscere questi ultimi). Entriamo adesso nel merito degli studi.

Il lungo contributo dedicato al Satyricon ('La poetica di Encolpio e il ritratto tacitiano di Petronio') affronta questioni diverse che l'autore mette in relazione riprendendo il filo di dibattiti che nella critica degli ultimi decenni sono stati particolarmente accesi. Preliminarmente conviene precisare che la condivisibile convinzione di G. e che il Satyricon non appartenga alla tradizione menippea (non lo crede neanche Courtney, nonostante sia citato come sostenitore di questa ipotesi nella nota 60), bensi a quella, ugualmente poco nota, del "romanzo comico".

L'indagine di G. prende avvio da un interrogativo tutt'altro che trascurato (per una sintesi delle posizioni piu recenti cf. Lustrum 49, 2007, 276-278), ovvero se il carme quid me constricta spectatis fronte Catones (132, 15) pronunciato da Encolpio rappresenti o meno un manifesto poetico dell'autore. G. nota opportunamente che, nel momento in cui si esprime in versi, Encolpio si serve di un linguaggio poetico e di temi che dovevano essere convenzionali fra i cultori della Musa lasciva, e questo da l'impressione che il carme trascenda il contesto narrativo. Nonostante cio, G. preferisce assumere una posizione intermedia: egli ritiene che il poemetto sia da attribuire a Encolpio, ma che la distanza tra lui e l'autore non debba essere esagerata.

Ammettiamo subito che secondo noi la corretta interpretazione del carme e quella di quanti, come Roger Beck, lo riferiscono alla precedente tirata di Encolpio, e che il distico dei vv. 2-3 costituisca un'affermazione generale con cui Encolpio cerca di giustificarsi per aver interloquito con la propria mentula: in particolare il v. 4 non va interpretato come "la mia lingua racconta con semplicita cio che fa la gente" (cosi G. e altri prima di lui) bensi "una candida lingua riferisce anche cose volgari". Anche il testo tradito, che G. segue al v. 7 ipse pater veri doctus Epicurus in arte / iussit (p. 8 nn. 20 e 21), non convince: oltre al fatto che iussit e privo di complemento oggetto, desta sospetti l'allungamento in arsi poiche presuppone che la cesura fra l'aggettivo e il sostantivo sia abbastanza forte. La soluzione preferibile resta percio la congettura di W. Canter (Nov. lect., Basileae 1564, III 14) che corregge in doctos ... amare.

Secondo G., attraverso l'esternazione di Encolpio, Petr. potrebbe addirittura replicare a "Catoni" reali. Rifacendosi ad alcune intuizioni di Sullivan, egli ammette infatti che nel Satyricon si possano rintracciare labili tracce di una polemica che avrebbe contrapposto moralisti intransigenti e vicini allo stoicismo rappresentati da Seneca, a personaggi piu tolleranti e non distanti dalla filosofia epicurea come Petronio; un'opposizione che si rifletterebbe nel diverso tipo di suicidio scelto dai due, almeno nel resoconto fornitoci da Tacito. Pur non concedendo credito a grossolani tentativi di individuare nel Satyricon segni evidenti di aderenza all'epicureismo, G. e difatti pronto ad ammettere che, insieme al realismo, l'epicureismo abbia avuto grande importanza nella composizione dell'opera "in quanto determina la selezione tematica e detta quelle priorita negative e degradate che sono costitutive del realismo del Satyricon" (p. 17)--viene tuttavia da chiedersi se temi e ambientazione degradata non fossero piuttosto caratteristici del filone comico-licenzioso.

Se letto in un contesto di polemica tra Petronio e i moralisti stoici, il carme in questione avrebbe potuto dunque suonare come una replica "a critiche che i Catones stoici avevano effettivamente rivolto a parti del romanzo gia rese note ... nel corso di alcune letture pubbliche a corte" (p. 13), una congettura di Sullivan, quest'ultima, teoricamente verosimile ma priva di fondamento. In quest'ottica, la simplicitas petroniana sarebbe "nuova" perche scaturirebbe da una morale tollerante e anticonformista ben diversa da quella stoica--pur rimanendo nell'ambito della congettura, e interessante il tentativo di individuare nella sentenza che segue l'epigramma una frecciata contro una ficta severitas, un'austerita artefatta, che era stata rinfacciata a Seneca.

A sostegno della sua interpretazione G. ipotizza che nell'antichita il carme di Encolpio venisse gia letto come un carme programmatico sulla base di supposte reminiscenze in Marziale e Tacito. Questa supposizione e indubbiamente audace, proprio perche il carme attinge a espressioni e temi convenzionali: ad es. in Mart. 1 ep. 7 non intret Cato theatrum meum, piu che una reminiscenza petroniana, si ripropone un'antonomasia diffusissima (cf. ThLL Onom. II, 269, 4 ss.). G. si situa inoltre fra quanti ritengono che la species simplicitatis che Tacito attribuisce a Petronio alluda alla nova simplicitas difesa da Encolpio. E proprio sulla possibile conoscenza del Satyricon da parte di Tacito che e costruita l'ultima parte del contributo, la quale presenta passaggi logici non sempre chiarissimi che rendono il filo del discorso difficile da seguire: G. ipotizza infatti che il ritratto tacitiano derivi sostanzialmente da Cluvio Rufo, ma sia stato influenzato da una conoscenza diretta che Tacito ebbe del Satyricon. Secondo G., e verosimile che Tacito fosse al corrente della polemica fra Seneca e Petronio, e che un'accusa di falsa simplicitas fosse stata mossa a Petronio da persone vicine agli Annei. La species simplicitatis di cui parla Tacito potrebbe alludere a un adeguamento di facciata alle circostanze, mentre di fatto il Satyricon avrebbe messo in ridicolo Nerone e i suoi accoliti. A questo proposito G. ribadisce una vecchia congettura secondo la quale i codicilli inviati a Nerone e menzionati da Tacito sarebbero stati la chiave di lettura del Satyricon, infarcito di velati riferimenti all'imperatore e ai suoi partners--un'ipotesi, questa del "roman a cle", cui in tempi recenti gli studiosi, con rare eccezioni, tendono a dare poco credito.

In definitiva la prospettiva di G., pur essendo argomentata con dovizia, risulta in piu punti poco chiara e giunge a conclusioni a nostro parere anacronistiche: proprio oggi che si e in grado di riconoscere che il Satyricon e un romanzo appartenente a un filone della narrativa probabilmente parallelo a quello del romanzo serio, ogni tentativo di attribuirgli finalita ulteriori a quella piu semplice del divertere rischia di riportare sul testo la patina di interpretazioni elaborate quando ancora una piu concreta definizione di "romanzo comico-licenzioso" non aveva preso corpo e il significato ultimo di un'opera frammentata e apparentemente bizzarra come il Satyricon era ancora, in gran parte, sfuggente. Certo, un'interpretazione non esclude l'altra, una finalita potrebbe non negare l'altra: ma non e l'economia un principio sempre valido in filologia?

Il primo saggio apuleiano e incentrato sull'episodio della Festa del Riso e si propone di dimostrare che si tratta di uno dei momenti piu marcatamente "metanarrativi" del romanzo. La possibilita di riguardare quest'episodio alla luce della superiore conoscenza dell' auctor dovrebbe suggerire al lettore una riflessione piu ponderata sui fatti e un senso piu profondo dell'accaduto: quale sia pero questo guadagno in termini, diciamo cosi, filosofici, non e chiarissimo; e nemmeno e chiaro in che senso le vicende picaresche del modello siano rese da questo tipo di lettura moralmente edificanti. Quale sia insomma il messaggio filosofico che trasformerebbe "la comicita istintiva e fisica del modello greco nella laetitia del sapiens" non e esplicitato ne si desume facilmente. Il percorso logico che a questa conclusione porta e, peraltro, un po' confuso e non sempre rigorosissimo: molte delle prove offerte a sostegno della tesi, le prove a supporto della dimostrazione, non provengono infatti dal testo stesso, ma sono costituite dalle affermazioni (piu o meno fortunate) di studiosi precedenti.

Da alcune osservazioni condivisibili per di piu si fanno scaturire conclusioni forzate o in alcuni casi semplicemente non vere; ad es., che la Festa del Riso rappresenti un momento in cui Lucio, da spettatore attivo, si trasforma in "spettacolo" egli stesso (con rimando alle osservazioni di Slater 2003) e un'osservazione abbastanza neutra, per quanto non ne sia chiarissima l'utilita pratica finale; che di qui in poi l'eroe "da ricercatore curioso" diventi "oggetto della curiosita altrui"--con le conseguenze, ancora non chiarissime, descritte a p. 46--semplicemente non e vero: se c'e una cosa che proprio l'asino non suscita in tutto il libro e la curiosita altrui, anzi e proprio l'indifferenza degli uomini che gli garantira la possibilita di esplorare il mondo nella maniera piu libera.

Ma piu grave e che a volte l'eccessiva fiducia nel giudizio altrui porti l'autore a dimenticare cio che e piu importante: il testo stesso. Daremo solo un esempio significativo di questo procedimento, lasciando al lettore di rintracciarne i molti altri casi. A p. 47 G. afferma che "l'attitudine critica nei confronti delle istituzioni della comunita ipatense"--un dato di per se poco suffragato dal testo, ma desunto da studi precedenti di Summers e McCreight le cui conclusioni peraltro sono anche discutibili,--verrebbe poi "confermata dal rifiuto che Lucio oppone agli onori promessigli dalle autorita di Ipata", rifiuto che a sua volta preparerebbe "la definitiva espulsione del protagonista" dal contesto sociale. Ma questa lettura, che il testo non supporta--quali elementi segnalano "la separazione del protagonista dal contesto sociale", il suo "distacco dal precedente status di affermato uomo d'affari"?--porta piuttosto a misconoscere un divertente gioco di rottura dell'illusione narrativa tipicamente apuleiano. A parte il fatto che i due eventi - rifiuto della statua e metamorfosi--non sono, ne si possono porre, in alcuna consequenzialita diretta ne indiretta; ma a parte cio, il rifiuto della statua e, soprattutto, la richiesta esplicita di dedicare la statua a qualcuno piu degno, e una mossa retorica con cui il lettore apuleiano e chiamato a comprendere una precisa allusione.

Com'e reso evidente anche da alcune precise riprese lessicali, dall'analogia del movimento retorico incentrato sulla modestia, dalla peculiare scelta della seconda persona singolare in riferimento all'intera citta (tibi gratiam memini, come in flor. 16, 47), qui il riferimento da riconoscere e un dato reale, un fatto a cui Apuleio teneva moltissimo, e cioe la celebre dedica della statua al filosofo platonico Apuleio da parte dei cittadini di Cartagine. Persino il termine con cui Lucio e qui definito, patronus, sembra uno scherzoso rovesciamento della formula con cui Apuleio stesso si dichiarava alumnus dello splendidissimo coetus di cittadini in flor. 18, 36. Si allude cioe, se non a un preciso discorso di ringraziamento dei Florida, a un evento di cui il lettore era certamente a conoscenza; quando Lucio afferma "statuas et imagines dignioribus meique maioribus reservare suadeo", al di sopra del personaggio si sta realizzando un gioco molto simile a quello per cui ci viene spiegato che Apollo risponde in latino "per riguardo nei confronti dell'autore della Milesia" (met. 4, 32), o a quello per cui lo stesso Lucio, in forma di asino e avendo ascoltato la famosa bella fabella, rimpiange di non avere la penna per scriverla (cf. 6, 25 dolebam mehercules quod pugillares et stilum non habebam qui ... fabellam praenotarem). Ritroviamo qui insomma l'ennesimo caso di rottura dell'illusione narrativa, con cui Apuleio strizza l'occhio al suo lettore e ricorda la sua presenza dietro la narrazione.

Piu in generale, ogni conclusione definitiva sull'episodio in questione e resa un po' azzardata anche dalla natura dell'episodio stesso, una sorta di patchwork di elementi di varia provenienza, assemblati senza diretta consequenzialita, come prova anche la contraddizione continua provocata dalle diverse spiegazioni dei fatti e la mancata soluzione degli stessi nel finale solo apparentemente tranquillizzante: sembra piuttosto che la sequenza dell'otricidio-Festa del Riso, mutuata--come lo stesso G. riconosce - da una o piu fonti precedenti, rappresenti uno dei tanti casi di moltiplicazione dei punti di vista che spiazzano il lettore e contemporaneamente, lungi dal farla sospettare, contribuiscono semmai a oscurare la prospettiva piu ampia della voce narrante. Per questi motivi il saggio non persuade del tutto.

Analoghe considerazioni si possono fare per il saggio successivo, in cui viene esposta come conclusione la possibilita che il bricolage narrativo che negli ultimi libri assembla novelle "tragiche", incentrate sulle peggiori passioni umane, risponda non solo all'esigenza di esplorare il genere variegato della milesia, ma anche a comunicare al lettore "verita spirituali": ma quali siano queste verita e poco intuibile per il lettore, costretto a districarsi in una selva di citazioni, e il saggio stesso sembra a sua volta il frutto di un bricolage condotto sulla bibliografia precedente. Curioso e poi l'andamento della dimostrazione che parte dall'assunto che in Apuleio "il risus e il cachinnus, non esenti da un certo sadismo" servano principalmente "a ridicolizzare i personaggi" secondari e quello principale--in contraddizione almeno apparente con quanto affermato nel primo saggio--e che l'accentuazione del pathos e della serieta sia uno dei mezzi con cui Apuleio tenta di cambiare il senso del racconto del suo modello greco. Di qui si passa bruscamente a riconoscere l'eventuale significato allegorico-morale delle avventure di Lucio, ricorrendo di nuovo a una catena di osservazioni di vari studiosi precedenti, utilizzate come dati acquisiti. Tra queste merita almeno un dubbio critico l'idea di Sandy che nella frase latina di met. 11, 15, 1 (ad serviles delapsus voluptates curiositatis ... sinistrum praemium reportasti) Apuleio abbia tentato di ricostruire una gerarchia di valori attraverso una gerarchia sintattica: "se il sacerdote avesse voluto mettere sullo stesso piano serviles voluptates e curiositas, avrebbe detto: servilium voluptatum atque curiositatis ... sinistrum praemium reportasti". E perche? Non e quasi necessario ricordare come la giustapposizione di un participio congiunto quasi epesegetico nei confronti della principale che lo regge sia, oltre che una costruzione apuleiana frequente, una normale possibilita della lingua latina; seppure volessimo inferire da questa disposizione sintattica una mancanza di parallelismo che in qualche modo ci aspettavamo, basterebbe una pura volonta di variatio e di movimento del periodo a giustificarla. E invece l'idea discutibile di Sandy e ancora una volta chiamata a supportare una conclusione--che il rapporto tra curiositas e serviles voluptates non sia paritario--, sulla quale, incidentalmente, chi scrive puo anche essere d'accordo, ma che certo non puo essere fondata su simili basi. Molto migliore e la parte in cui G., allontanandosi dalla bibliografia precedente, inizia un'utile digressione sul carattere intrinsecamente "narrativo" dell'elemento curiositas come motore dell'azione romanzesca. Interessanti anche le osservazioni--che partono direttamente dal testo--sulla differenza di percezione dello stesso elemento da parte di un personaggio diegetico (il sacerdote Mitra) e dell'auctor stesso. Interessante la distinzione tra giudizio morale e giudizio artistico nella valutazione della curiositas.

Passiamo infine ai contributi sulla Historia Apollonii. Il primo contributo, originariamente pubblicato in P. Chiesa--L. Castaldi, La trasmissione dei testi latini del medioevo, Te.Tra. 3, Firenze 2008, 301-307, fornisce le coordinate principali della trasmissione del testo sintetizzando alcuni dei risultati a cui l'autore era giunto nel suo Enigmi dell'Historia Apollonii regis Tyri (Bologna 2004), per lo piu nella parte incentrata sulle redazioni dell' Historia (cap. I).

La storia del testo dell'Historia Apollonii, pur nelle sue linee essenziali, e molto difficile da ricostruire, poiche il romanzo ci e giunto attraverso recensioni diverse e non e chiaro come queste si siano differenziate l'una dall'altra a partire da un originale, del quale si stenta a intravedere la fisionomia primigenia e a stabilire l'epoca di composizione. G. passa in rassegna le principali teorie (di Riese, di Klebs, di Kortekaas) e affronta i nodi salienti giungendo a conclusioni che a nostro modo di vedere costituiscono un'equilibrata messa a punto di una questione su cui, ancora oggi, non sembra esserci condivisione.

G. ammette la possibilita che l'Historia sia stata originariamente scritta in greco tra la fine del II e gli inizi del III sec. d.C. Le due recensioni latine principali (RA e RB) deriverebbero tuttavia da una versione latina del romanzo redatta tra la fine del IV secolo--epoca a cui probabilmente risalgono gli enigmi di Sinfosio o Simposio confluiti nel romanzo--e il 568 d.C. - data in cui Venanzio Fortunato menziona Apollonio. Questa ricostruzione, che si rifa in parte agli studi di Klebs, e senz'altro piu verosimile di quella proposta da Kortekaas, che fa derivare direttamente le due recensioni da una versione in greco, ed e costretto a ipotizzare l'influenza di RA su RB per spiegare i numerosi punti di contatto fra le due recensioni (a p. 78 si inverta la freccia che congiunge RA e RB). Il contributo e concluso da un rapido bilancio delle principali edizioni critiche, di Kortekaas (1984, 2004) e di Schmeling (1988), che si contraddistinguono per un trattamento opposto del testo ossia, rispettivamente, un'eccessiva fiducia nel testo tradito di contro a una vigorosa tendenza normalizzatrice.

La scelta di ristampare in una raccolta di contributi sul romanzo latino una recensione al commento di Kortekaas all'Historia Apollonii (Leiden--Boston 2007), gia pubblicata in Gnomon (80, 2008, 301-307), e discutibile, anche perche alcune sue parti ripetono quanto espresso dall'autore nell'articolo precedente. Per questo, e per evitare l' improprium di una recensione della recensione, ci limiteremo a segnalare gli apporti piu importanti della discussione di G.

Due sono le critiche principali, mosse al lavoro di Kortekaas, che ci sentiamo di sottoscrivere: il tentativo di risalire a un'ipotetica facies greca e un'eccessiva fiducia nel testo tradito che, nello sforzo di salvare peculiarita linguistiche piu o meno raramente attestate nel latino tardo, equivale di fatto ad ammettere che il testo dell' Historia sia andato immune dai piu comuni errori della tradizione manoscritta. Si tratta di due caratteristiche che contraddistinguono in negativo sia le due edizioni critiche di Kortekaas, sia il suo commento, e la scelta di passi proposta da G., assai selettiva, lo esemplifica chiaramente e potrebbe essere ampliata a dismisura.

A illustrare la ragionevolezza delle posizioni espresse da G. riporteremo il solo esempio di 2 RA (nutrix) ut viditpuellam flebili vultu ... roseo rubore perfusa, dove Kortekaas difende il testo tradito con un perentorio "The nom. perfusa ... in apposition is possible"; ma poiche il nominativo e il caso del soggetto, se non si apporta l'impercettibile correzione perfusam ad arrossire e la nutrice, e non la ragazza. A proposito di 8 RB apud bonos enim homines amicitia pretium (b : pretio Ptc) non comparatur, sed innocentia, va osservato che G. ha ragione a preferire l'ablativo all'accusativo, ma in quanto e necessario un complemento di mezzo, come chiarisce anche il successivo innocentia, e non perche l'accusativo di prezzo "ricorre soltanto con nessi avverbiali come quantum o plus" (p. 95): cf. cap. 33 (Tharsia) singulos aureos populo patebit, che G. menziona per ragioni migliori subito sotto, e Tab. Vindoland. II, 343, 38 ss. Frontinium Iulium audio magno licere pro coriatione quem hic comparavit (denarios) quinos con J. N. Adams, JRS 85, 1995, 116.

In definitiva il volume, che presenta contributi di valore disuguale, propone all'attenzione del lettore temi interessanti, per quanto eterogenei e certamente non legati dal filo conduttore che l'autore individua nell'analisi dei rapporti con il romanzo greco e l'origine del genere. Pur non offrendo una visione unitaria del "romanzo latino", e pur non giungendo a conclusioni sempre persuasive, i cinque saggi contengono comunque utili spunti di riflessione su Petronio e Apuleio, e una sintetica panoramica delle principali questioni relative all'Historia Apollonii di cui G. e esperto conoscitore. Dal punto di vista del metodo, in piu occasioni avrebbe forse giovato un minore understatement unito a un piu deciso individualismo dell'autore.

Reviewed by Lara Nicolini, Scuola Normale Superiore, Pisa, l.nicolini@sns.it, and by Giulio Vannini, universita per Stranieri di Perugia, g.vannini@sns.it. *

* Gli autori hanno lavorato fianco a fianco: a Nicolini si devono le sezioni su Apuleio, a Vannini quelle su Petronio e l'Historia Apollonii.
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