Un narratore tra autore originario e lettori: confronto tra I promessi sposi e il romanzo cinese Ernu yingxiong zhuan.
Criscuolo, Catello
Premessa. Ernu yingxiong zhuan, titolo traducibile come Storia di
amore ed eroismo, e un romanzo cinese incompleto in quaranta capitoli,
scritto dal mancese Wen Kang (1789-c.1875) e pubblicato postumo nel 1878
(1). Il romanzo unisce elementi cavallereschi al femminile (secondo uno
schema rovesciato, e una donna coraggiosa, He Yufeng, che salva il
pavido protagonista maschile, An Ji, dalle mani dei briganti che stanno
per ucciderlo) a elementi sentimentali (il doppio matrimonio di An Ji
con He Yufeng e un'altra ragazza, ugualmente salvata in precedenza
dall'eroina). A dare a questo testo una posizione di tutto rilievo
nella storia della letteratura cinese e non tanto la trama in se, quanto
la vivacita e l'assoluta perizia narrativa con cui essa viene
esposta. In particolare la critica, a partire almeno dagli anni ottanta
del secolo scorso, ha spesso sottolineato la sapidita con cui Wen Kang
gioca a dividersi nei due ruoli di un autore, che in un passato
relativamente lontano ha redatto il testo, e di un anonimo cantastorie
che spesso interrompe il racconto nei punti salienti per prendere una
pausa, fare delle digressioni e dialogare con il pubblico di
ascoltatori.
Questa particolare tecnica narrativa, definibile come impostazione
triadica, consistente nello sdoppiamento dell'istanza narrativa
nelle due figure distinte di un autore originario e di un narratore e
nel dialogo di quest'ultimo con un lettore interno, mostra una
sorprendente somiglianza con quella adoperata da Alessandro Manzoni nei
Promessi sposi, romanzo che allo stesso modo salda i vari piani del
racconto in una griglia narrativa e metanarrativa in cui si coordinano,
con un grado di complessita decisamente maggiore rispetto alla
tradizione europea del romanzo ottocentesco, le tre figure principali
dell'autore originario di un manoscritto, di un narratore che
trascrive e rielabora il testo e di un lettore che e inserito
nell'universo diegetico come ascoltatore critico della narrazione.
Sono convinto che un'analisi comparata delle due opere, oltre
a mettere in risalto affinita e differenze relative all'uso che i
due scrittori fanno di questa particolare tecnica narrativa, possa anche
permettere alcune considerazioni sulla maniera in cui un genere
letterario tutto sommato simile, quello del romanzo in prosa, si sia
sviluppato in due grandi aree culturali completamente diverse.
1. Asse autore originario-narratore
1.1. Nei Promessi sposi Manzoni ricorre alla finzione del
manoscritto ritrovato che, sebbene fosse stata adoperata in tempi a lui
vicini da Walter Scott nella sua funzione di topos letterario volto a
dare una parvenza di realta a una storia frutto d'invenzione (2),
per l'uso ironico che riceve nel romanzo, sembra piuttosto
richiamare il Don Chisciotte della Mancia di Cervantes (3). In realta un
precedente diretto dell'anonimo manzoniano (e quindi dello stesso
Cide Hamete Benengeli di Cervantes) puo essere rintracciato nella figura
di Turpino che, a sua volta trasformazione in stereotipo di quello che
era il rinvio all'autorita di un testo scritto nei cantari
medievali, appare all'inizio della saga di Orlando come diretto
testimone degli eventi e autore di una sorta di
<<scartafaccio>>, per poi perdere nel corso del tempo questa
sua autorevolezza testimoniale ed esser visto con sempre maggior
sospetto dai vari scrittori, assumendo cosi la funzione paradossale di
fonte diretta <<che insieme supporta e smentisce, arreca conforto
e dubbio, suscitando a un tempo l'autorita e a burla>> (4).
Un tale passaggio comincia con l'Entree d'Espagne, per
proseguire col Pulci e, forse ancora piu che con l'Ariosto, col
Boiardo (5), che assume nei confronti della fittizia cronaca di Turpino
una posizione contraddittoria tra fedelta e presa di distanza (6).
Ponendosi quindi nel solco della lunga tradizione del richiamo a
una fonte fittizia, gia rinverdita nella nostra letteratura da Vincenzo
Cuoco in Platone in Italia, Manzoni col suo ricorso al topos del
manoscritto ritrovato, realizza uno sdoppiamento della voce narrante tra
un anonimo del seicento, autore originario di una <<bella
storia>>, narrata pero in un linguaggio <<retorico>>,
<<dozzinale>>, <<rozzo>> (PS intr. 4), e un
narratore moderno che decide di riscriverne il contenuto e di
completarlo all'occorrenza, facendosene quindi editore (7).
Il narratore, che appare come un intellettuale borghese dalla
mentalita cattolico liberale, solamente in due luoghi ci permette
un'identificazione con la figura reale di Manzoni (8), luoghi che
appaiono tra l'altro a brevissima distanza l'uno
dall'altro: la celebre nota autobiografica del fanciullo col suo
gregge di porcellini d'India (PS XI 201) e il riferimento al poema
Lombardi alla prima crociata dell'amico Tommaso Grossi (PS XI 200).
L'anonimo invece, che nel Fermo e Lucia era semplicemente
<<un'altra designazione del manoscritto>> (9), assumera
nel corso dell'evoluzione del romanzo sempre piu il profilo di un
personaggio che, oltre a garantire la storicita dei fatti narrati,
presenta una facolta di giudizio non necessariamente inferiore rispetto
a quella del narratore (10). E' stato infatti notato che, svilito
nell'introduzione per il suo stile seicentesco, pieno <<di
concettini e di figure>>, di <<idiotismi lombardi a iosa,
frasi della lingua adoperate a sproposito, grammatica arbitraria,
periodo sgangherati>> (p.4), trattato con sufficienza per
l'eccessiva cautela che lo porta a celare alcuni dati della storia,
l'anonimo acquista man mano spessore, per trovarsi poi, alla fine
del romanzo sullo stesso piano del narratore nel suo congedo al pubblico
(11): <<La quale [storia], se non vi e dispiaciuta affatto,
vogliatene bene a chi l'ha scritta, e anche un pochino a chi
l'ha raccomodata>> (PS XXXVIII 668).
L'espediente dell'anonimo nei Promessi sposi trova la sua
necessita nella netta cesura che viene creata tra i due piani temporali
del romanzo, quello in cui si scrive, l'ottocento, e quello di cui
si scrive, un seicento presentato come un passato feudale, un'epoca
di forti contrasti sociali. La distanza temporale cosi stabilita tra il
narrato e il narrare rende necessaria la presenza di un altro autore da
collocare all'interno di quel lontano mondo secentesco descritto
dal romanzo. Cosi come il narratore-editore ha bisogno della funzione
testimoniale dell'anonimo, lo stesso anonimo necessita
dell'intermediazione del narratore per poter fornire una visione
globale e critica della vicenda narrata: l'anonimo infatti, immerso
com'e in quell'epoca di disordini e ingiustizie, e non essendo
a conoscenza di alcun modello alternativo di societa, non potrebbe
essere in grado di mettere in discussione l'ordine costituito (12).
Il narratore-editore viene cosi a porsi consapevolmente su di un piano
diverso, piu alto, rispetto a quello dell'anonimo, sembra preferire
i propri giudizi a quelli del secentista (13) e, grazie alle sue
ricerche di altre testimonianze e documentazioni, mostra di avere una
conoscenza complessiva maggiore rispetto a quella del manoscritto, il
cui stesso valore testimoniale viene del resto spesso ridimensionato con
un procedimento ironico che se, come abbiamo appena visto, ha dei chiari
precedenti nella figura di Turpino della tradizione cavalleresca, se ne
discosta pero in quanto l'anonimo non viene sospettato di aver
falsificate parti della storia, ma di aver taciuto alcuni dati, come
nomi di casati, localita, ecc., per evitare di offendere personaggi di
potere.
Esaminando il metodo con cui nel romanzo si articolano le due voci
narranti, notiamo infatti che i riferimenti che il narratore fa
all'anonimo, cioe le citazioni del manoscritto, possono esser
divise in due grandi categorie: quella della citazione ordinaria, ossia
il richiamo all'autorita dell'autore-testimone, e quella della
lamentela per una reticenza, cioe per la volontaria omissione di dati da
parte del secentista. Per quello che riguarda il primo punto, possiamo
riportare almeno un esempio: <<Qui l'anonimo ci avvisa che
non fu questo il solo abboccamento di que' due personaggi, ne Lucia
il solo argomento de' loro abboccamenti [...] Dice poi, che, la
mattina seguente, venne Donna Prassede, secondo il fissato, a prender
Lucia>> (PS XXVI 445). In questo e in altri casi di richiamo
diretto, tra cui il principale e quello della sentenza gnomica, come
<<fate del bene a quanti piu potete, dice qui il nostro
autore>> (PS XXIX 499), la ripresa diretta viene quasi sempre
sottolineata da un verbo che allude esplicitamente alla citazione
(<<dice>>) (14). Il riconoscimento piu esplicito
dell'anonimo come fonte diretta avviene quando, al termine della
narrazione della conversione dell'innominato, il narratore scrive:
<<Cosi termino quella giornata, tanto celebre ancora quando
scriveva il nostro anonimo; e ora, se non era lui, non se ne saprebbe
piu nulla, almeno de'particolari>> (PS XXIV 423).
Se quindi, nei casi appena visti, l'anonimo
<<dice>>, <<scrive>> di avvenimenti che non si
trovano altrove, spesso pero non assolve questa sua necessaria funzione
di testimonianza (quasi) diretta. L'anonimo si caratterizza
infatti, fin dalla sua apparizione nel primo capitolo, per una
volontaria reticenza su alcuni dati del racconto: <<Il nome di
questa, ne il casato del personaggio, non si trovan nel manoscritto, ne
a questo luogo ne altrove>> (PS I 9). La reticenza
dell'anonimo e sottolineata spesso in modo ironico dal narratore:
<<l'anonimo aggiunge che il luogo (avrebbe fatto meglio a
scriverne alla buona il nome) era piu in su del paesello degli
sposi>> (PS V 75); <<Il nostro autore non descrive quel
viaggio notturno, tace il nome del paese dove fra Cristoforo aveva
indirizzate le due donne; anzi protesta espressamente di non volerlo
dire>> (PS IX 145); <<Tale e la descrizione che
l'anonimo fa del luogo: del nome, nulla; anzi, per non metterci
sulla strada di scoprirlo, non dice niente del viaggio di Don Rodrigo, e
lo porta addirittura nel mezzo della valle, appie del poggio,
all'imboccatura dell'erto e tortuoso sentiero>> (PS XX
336). Questo tipo di reticenza, apparendo come diretta conseguenza del
contesto storico in cui l'anonimo scriveva, finisce paradossalmente
per essere una prova implicita della verita documentaristica del
manoscritto. Cio e particolarmente evidente nei casi in cui proprio
grazie a questa sua reticenza l'anonimo riesce a dire piu di
qualsiasi narrazione, come nel passo in cui il giovane fra Cristoforo va
a chiedere il perdono della famiglia dell'uomo da lui ucciso in una
rissa: <<La storia non dice che a loro dolesse molto
dell'ucciso, e nemmeno che una lagrima fosse stata sparsa per lui,
in tutto il parentado: dice soltanto ch'eran tutti smaniosi
d'aver nell'unghie l'uccisore, vivo o morto>> (PS
IV 65). In questo caso una reticenza nel manoscritto, sottolineata
opportunamente dal narratore (<<non dice>>, <<dice
soltanto>>), riesce nel suo voluto silenzio ad esprimere un
chiaro, anche se implicito, giudizio morale.
In altri casi la reticenza pero appare non voluta, in quanto
l'anonimo stesso dichiara i limiti della propria conoscenza
riguardo alcuni particolari della storia: <<In mezzo a quella sua
gran collera, aveva Renzo pensato di che profitto poteva esser per lui
lo spavento di Lucia? E non aveva adoperato un po' d'artifizio
a farlo crescere, per farlo fruttare? Il nostro autore protesta di non
saper nulla; e io credo che nemmeno Renzo non lo sapesse bene [...] Qui
l'autore confessa di non sapere un'altra cosa: se Lucia fosse,
in tutto e per tutto, malcontenta d'essere stata spinta ad
acconsentire. Noi lasciamo, come lui, la cosa in dubbio>> (PS VII
106-107); <<Il nostro autore non ha potuto accertarsi per quante
bocche fosse passato il segreto che il Griso aveva ordine di
scovare>> (PS XI 198).
Per quanto il narratore dipenda dall'anonimo per lo sviluppo
della storia e non possa cosi fare a meno di seguire il tracciato del
manoscritto, in alcuni casi pero le omissioni sono fatte ad opera
proprio del narratore, che per motivi di convenienza o di economia
narrativa, ritiene opportuno tralasciare alcune informazioni che
apparentemente dovevano trovarsi nel manoscritto:
<<s'allontanarono, cantando una canzonaccia che non voglio
trascrivere>> (PS I 16); <<Risparmio al lettore i lamenti,
le condoglianze, le accuse, le difese, i "voi sola potete aver
parlato", e i "io non ho parlato", tutti i pasticci in
somma di quel colloquio>> (PS II 35); <<Noi tralasciamo di
riferir que' concerti, perche, come il lettore vedra, non son
necessari all'intelligenza della storia; e siam contenti anche noi
di non doverlo trattener piu lungamente a sentir parlamentare que'
due fastidiosi ribaldi>> (PS VII 114); <<Potremmo anche,
sopra congetture molto fondate, dire il nome della famiglia; ma, sebbene
sia estinta da un pezzo, ci par meglio lasciarlo nella penna, per non
metterci al rischio di far torto neppure ai morti, e per lasciare ai
dotti qualche soggetto di ricerca>> (PS IX p. 146). Il piu delle
volte pero il narratore svolge la funzione opposta a questa appena vista
della reticenza. Se infatti e l'anonimo a controllare lo sviluppo
della storia, a gestire l'interazione tra i personaggi, il
narratore appare dotato, come dicevamo, di una conoscenza ancora
maggiore, perche assumendosi in prima persona (<<io>> che a
volte diventa <<noi>>) la responsabilita della comunicazione
con i lettori, sente la necessita di integrare la storia del manoscritto
con altre fonti: <<Dal riscontro di questi dati noi deduciamo che
fosse Monza senz'altro>> (PS IX 146). Questa funzione ci
appare fin dal primo capitolo, quando per colmare la distanza temporale
tra il narrato e il narrare, a breve distanza il narratore si vede
costretto a far ben due digressioni: la prima sui bravi (<<Chi non
ne avesse idea ecco degli squarci autentici>>, p. 10),
l'altra volta a collocare Don Abbondio, e con lui il lettore, sullo
sfondo prescelto (<<Come stesse di dentro, s'intendera
meglio, quando avrem detto qualcosa del suo naturale, e de' tempi
in cui gli era toccato vivere>>, p. 16). Il fine del narratore
appare dunque manifesto fin dal principio, se l'anonimo racconta
una storia, egli vuole raccordare quella storia con la Storia:
<<Ora, perche i fatti privati che ci rimangon da raccontare,
riescan chiari, dobbiamo assolutamente premettere un racconto alla
meglio di quelli pubblici, prendendola anche un po' da
lontano>> (PS XXVII 470); <<Condotti dal filo della nostra
storia, noi passiamo a raccontar gli avvenimenti principali di quella
calamita [...] E in questo racconto, il nostro fine non e, per dire la
verita, soltanto di rappresentare lo stato delle cose nel quale verranno
a trovarsi i nostri personaggi; ma di far conoscere insieme, per quanto
si puo in ristretto, e per quanto si puo da noi, un tratto di storia
patria piu famoso che conosciuto>> (PS XXXI 521).
1.2. Nel romanzo cinese Storia di amore ed eroismo una simile
suddivisione della voce narrante in due personalita differenti, si
appoggia non sull'archetipo del manoscritto ritrovato, ma su quello
di un testo scritto usato come base per un racconto orale: l'autore
originario del testo viene infatti presentato come un letterato il cui
pseudonimo e l'Ozioso di Pechino (Yanbei xianren), mentre la voce
narrante e quella di un anonimo cantastorie che si rivolge a un gruppo
piu o meno ampio di ascoltatori. Per render conto di questa
particolarita, sara opportuno fare qualche breve cenno preventivo sul
genere "romanzo" (changpian xiaoshuo) in Cina (15).
I romanzi, scritti in cinese volgare, emergono durante la dinastia
Ming (1368-1644), per raggiungere il massimo periodo di diffusione sotto
la successiva dinastia mancese Qing (1644-1911). Data la posizione di
non ufficialita in cui, a discapito della sua enorme diffusione, il
genere fu sempre relegato, gli autori dei romanzi in volgare, a
differenza di quelli della precedente narrativa in cinese classico,
furono sempre costretti a celarsi sotto pseudonimi che ne rendono
difficile l'identificazione, mentre alcuni tra i primi romanzi
appaiono come il frutto di numerose riscritture. I romanzi cinesi sono
inoltre generalmente molto lunghi e presentano non una trama unitaria,
ma una serie di avvenimenti che, quasi come una coerente successione di
racconti di lunghezza variabile, sembrano scaturire l'uno
dall'altro e che generalmente trovano nella presenza di alcuni
personaggi il loro elemento unificante. Ne deriva una tipica costruzione
narrativa dalla quale <<e escluso lo svolgimento o il precipitare
verso un fine (tipico del romanzo europeo dell'Ottocento) e dove il
sentimento di un destino preordinato, di un gia compiuto, si realizza
non in una resa dei conti finale, ma in ogni singolo momento o in nodi
drammatici minori>>16. Questa caratteristica e dovuta al fatto che
i romanzi cinesi in volgare hanno alle loro spalle non tanto la
precedente narrativa in lingua classica, che presenta caratteristiche
contenutistiche e formali totalmente differenti, quanto una ricca
tradizione letteraria o paraletteraria costituita, oltre che dalle
traduzioni dal sanscrito al cinese volgare dei testi buddisti,
soprattutto dai racconti dei cantastorie professionisti (17).
Quest'ultima discendenza e chiaramente ravvisabile nell'uso
reiterato di stilemi tipici della narrativa orale, adoperati con
crescente grado di consapevolezza nel corso dell'evoluzione del
genere, tra cui la prassi secondo la quale il narratore si presenta non
come scrittore (zuoshu de), ma come cantastorie (shuoshu de), la
ripetizione di espressioni come hua shuo, <<la storia racconta
che>>, e la formula di rimando alla fine di ogni capitolo
(<<il seguito, se volete conoscerlo, sara narrato nel prossimo
capitolo>>).
Storia di amore ed eroismo e l'opera di uno scrittore molto
consapevole che tende, piu di quanto qualsiasi altro autore cinese abbia
mai fatto, a giocare con gli stereotipi del genere (18). Il narratore si
presenta infatti come un anonimo cantastorie che racconta una storia
scritta dall'Ozioso di Pechino e accaduta piu di cento anni prima,
negli anni venti del diciottesimo secolo, epoca di massimo splendore
della dinastia Qing, interrompendola pero spesso, usando toni e modi
tipici del racconto orale, con interventi, pause e digressioni di vario
tipo. All'interno della letteratura volgare cinese il narratore,
che tradizionalmente narra eventi a cui non prende parte e si riferisce
a se stesso in prima o in terza persona (<<il
cantastorie>>), tende a non porre alcuna distinzione tra se e
l'autore del testo narrato, o meglio tende ad annullare l'idea
stessa dell'esistenza di un autore originario (19). Lo sdoppiamento
della voce narrante in due figure separate, e quindi una caratteristica
peculiare del nostro romanzo (20), forse influenzata dalle versioni a
stampa delle storie dei cantastorie professionisti, in cui il narratore
orale dichiarava di basarsi con piu o meno modifiche su un testo scritto
da un autore diverso da se (21).
Nell'introduzione si parla di un sogno mistico, avuto
dall'autore originario durante la sua gioventu, sogno in cui delle
divinita spiegavano il significato morale di una storia che sarebbe
accaduta di li a poco sulla terra, e che in seguito l'avrebbe
portato a scrivere il romanzo. A partire poi dal primo capitolo iniziano
le intrusioni del cantastorie, che tende quindi a presentarsi come il
narratore orale di un testo scritto da altri, testo che, in un caso
almeno, egli stesso mostra di aver inizialmente appreso per via orale:
<<Quando per la prima volta ascoltai qualcuno recitare questa
Storia di amore ed eroismo ...>> (EYZ II 52). Il cantastorie si
compiace spesso di raffigurare l'autore originario dedito al suo
lavoro di scrittura, un lavoro faticoso e ingrato, secondo il topos
letterario dello scrittore povero e solo: <<Povero Ozioso di
Pechino che ha scritto questa Storia d'amore ed eroismo. Cosa aveva
a che fare con lui questa faccenda? Ha finito tutta la pietra
d'inchiostro, ha consumato i peli del pennello, s'e
prosciugato il sangue in cuore e s'e annebbiato la vista>>
(EYZ XXVIII 427); <<L'Ozioso di Pechino che, seduto dietro a
una lampada fioca muoveva un pennello spelacchiato, non so quanto ha
sudato per questo libro. Fatica sprecata!>> (EYZ XL 736). In un
solo passo, l'autore originario e il cantastorie compaiono al
fianco l'uno dell'altro. Il luogo e particolarmente
interessante in quanto si tratta di una delle parti in cui e piu
visibile il gioco che Wen Kang fa con le convenzioni e gli stereotipi
letterari. L'eroina, dopo aver salvato in un tempio la vita a varie
persone, tra cui An Ji, ed aver incominciato a spiegare i motivi che
l'hanno condotta in quel luogo, improvvisamente si alza per
andarsene e il capitolo termina; all'inizio del capitolo
successivo, trattenuta dai presenti, dice che in realta aveva solamente
finto di andar via per tre motivi, l'ultimo dei quali e il
seguente: <<"Poco fa, finito di parlare, mi sono alzata e ho
fatto per andar via, volevo creare una pausa in modo da dare
l'occasione allo scrittore di posare per un po' inchiostro e
pennello, e al cantastorie di fare qualche gargarismo". Appena ebbe
finito questa frase non solo tutti i presenti si tranquillizzarono, ma
anche voi ascoltatori starete dicendo: "Ha ragione!">>
(EYZ IX 108). In questo luogo, in maniera davvero insolita nella
letteratura cinese, i vari piani narrativi (autore originario,
cantastorie, ascoltatori, personaggi) finiscono per trovarsi
apparentemente sovrapposti, si ha cioe l'impressione che i
personaggi di una storia che sta accadendo realmente sappiano che le
loro azioni saranno riportate in un libro, che poi un cantastorie
narrera a degli ascoltatori, e che agiscano di conseguenza.
Sebbene il romanzo all'inizio del primo capitolo, con la sua
descrizione accurata dell'epoca dei fatti, del luogo e
dell'ambiente familiare in cui la storia si svolge, sembri voler
condurre il lettore in un ambiente realistico, in maniera del tutto
conforme alla tradizionale prassi della letteratura cinese, il
cantastorie mostra pero di doversi adattare al modo in cui l'autore
ha descritto i vari personaggi, e spesso sembra egli stesso non aver
chiaro quale sia il confine tra realta dei fatti e finzione narrativa:
<<Questo non so se sia dovuto all'Ozioso di Pechino, che ha
mosso senza nessuna ragione il suo pennello, o al Cielo creatore, che
spinge gli uomini con un fine>> (EYZ XXIV 345). Cosi in una scena
in cui il Signor An sta parlando con le sue due nuore e, in modo non
conforme all'etichetta del tempo, insiste perche si siedano, il
cantastorie sospetta che la frase sia stata inserita dall'autore,
che deve aver ritenuto che le due donne, con quei loro piedini, a
rimanere in piedi fino alla fine della conversazione ne avrebbero di
sicuro risentito (EYZ XXXIII 521-522).
Pur mostrando occasionalmente dei sospetti nei confronti del primo
autore, il cantastorie sembra pero dipendere totalmente da lui per
quello che riguarda lo sviluppo della storia. Per esempio, la
protagonista del romanzo fa la sua prima apparizione nel capitolo
quinto, ma solamente nell'ottavo verremo a conoscere lo pseudonimo
di Tredicesima Sorella (Shisan mei) con cui si fa chiamare e pochi
particolari che la riguardano (la sua storia non sara rivelata
interamente che nel capitolo XIX), prima di allora viene chiamata
semplicemente <<la donna>>, <<la ragazza>> o
<<la ragazza vestita di rosso>>. Come giustificazione a
questo suo modo di raccontare, il cantastorie sottolinea la sua
necessita di attenersi al testo scritto: <<Non solo il giovane
Signor An si stava facendo molte domande, ma probabilmente anche voi
ascoltatori ne sarete infastiditi. Se l'autore ha voluto scrivere
una storia piena di rimandi, io, il vostro cantastorie, posso solamente
seguirlo in questo suo racconto. Dovrete avere un po' di pazienza,
dato che non potete fare altro che ascoltare il seguito della
storia>> (EYZ IV 52). In molti casi il cantastorie ammette
direttamente di non poter rivelare tutto dei personaggi, perche la sua
stessa conoscenza di essi e limitata: <<Cosa abbiano deciso marito
e moglie, cosa abbiano detto, di cosa discusso, il vostro cantastorie,
che non si trovava al loro fianco, non potra riferirvelo>> (EYZ
XXIII 332); <<Io, il cantastorie, che chiacchiero tanto, in realta
non faccio altro che gettare lo sguardo dove c'e confusione; fino
ad oggi ancora non sono riuscito a capire quali siano le sue
intenzioni>> (EYZ XXVI 388); <<Cosa ha pensato cosi in
fretta e furia nel suo cuore? Signori, il vostro cantastorie ancora non
e riuscito a saperlo>> (EYZ XXIX 441). In un caso il cantastorie
propone un'alternativa all'attesa, dopo aver dichiarato
infatti di non sapere cosa la protagonista serbi in cuore, scrive:
<<Sia io che voi, che ce ne stiamo qui senza far niente, facciamo
quattro chiacchiere a piacere, di certo riusciremo a indovinare il suo
stato d'animo>> (ENZ XIX 441). Segue quindi un lungo passo in
cui egli propone varie possibili spiegazioni del turbamento della
ragazza, per poi concludere che sara meglio aspettare il seguito del
racconto. Si fa quindi l'ipotesi di una narrazione deduttiva, come
modo di sopperire alla dichiarata mancanza di informazioni.
Sebbene in questi casi il cantastorie dichiari una conoscenza
limitata della trama e dei personaggi, va pero sottolineato come, in
modo del tutto corrispondente alla prassi narrativa, egli generalmente
mostri di averne una perfetta padronanza, come viene anche indicato dal
reiterato uso di formule del tipo: <<Ma adesso mettiamo da parte
questo e parliamo di quest'altro>>. La sua conoscenza appare
cosi tendenzialmente superiore a quella dei personaggi coinvolti nella
vicenda: <<Questa frase solamente il vostro cantastorie l'ha
capita in cuor suo, Dong e Chu non ne sapevano nulla e nemmeno il Signor
An ne conosceva i particolari>> (EYZ XXI 302).
1.3. Nei due romanzi dunque assistiamo a una pressoche identica
suddivisione del principio autoriale in due voci, una lontana collocata
nel passato, in un tempo prossimo a quello dei fatti, l'altra posta
nel presente, all'epoca cioe della narrazione. In entrambi i testi
il narratore, pur nella sua sostanziale onniscienza, dichiara quindi di
rinarrare una storia scritta da altri e, rapportando di necessita la sua
narrazione a quella dell'autore originario, mostra la sua
dipendenza nei confronti di quest'ultimo. Se in Manzoni questa
relazione, che si esplicita sia nelle citazioni dirette del manoscritto
che nelle lamentele per informazioni non riportate, viene pero spesso
superata dalla professa indipendenza intellettuale del narratore, nel
romanzo di Wen Kang il cantastorie dichiara invece ripetutamente di
seguire con scrupolo il testo originario. Questa differenza e
probabilmente dovuta alla diversa percezione che dello sviluppo storico
sembrano avere i due scrittori: mentre in Italia il seicento barocco era
visto da un autore della prima meta dell'ottocento come
un'epoca assolutamente diversa, per cui una narrazione moderna
andava necessariamente integrata con dati e giudizi di vario genere, nel
romanzo cinese questa differenza non e percepita e l'epoca in cui
viene collocato l'autore originario, gli anni venti del
diciottesimo secolo, sotto la stessa dinastia Qing, e vista come
sostanzialmente contigua alla presente.
2. Asse narratore-lettore
2.1. Il narratore, nel trascrivere il testo di una storia ritrovata
in un manoscritto del seicento, si rivolge ai lettori, usando la prima
persona singolare o quella plurale, e lo stesso atto
dell'enunciazione, dall'io/noi dell'autore al voi del
narratario, cioe del lettore interno (22), trasforma la storia in
<<nostra>>. Se l'autore anonimo, come visto,
<<appare in crescita di personalita>> nel passaggio dal
Fermo e Lucia ai Promessi sposi23, l'interazione tra narratore e
narratario e maggiore nella prima stesura, rispetto alla versione finale
(24). Il Fermo e Lucia presenta spesso un lettore cavilloso, un
<<cortese censore>> (FL seconda intr. 17), pronto a
criticare il lavoro del narratore, che si trova cosi spesso costretto a
difendersi. Innanzitutto, fin dall'introduzione, viene posto in
discussione lo stesso postulate su cui si basa la finzione narrativa del
romanzo, ossia l'esistenza del manoscritto anonimo: <<E'
qui il luogo d'antivenire un'accusa la quale, per grave e
pericolosa ch'ella sia, potra leggermente esser data a questo
scritto: cioe che non sia altrimenti fondato sopra una storia vera di
quel tempo, ma una pura invenzione moderna [...] Certo il migliore
espediente sarebbe quello di mostrare il manoscritto, ma a questo egli
[l'editore] non puo indursi per altri e piu degni rispetti. Il piu
degno de' quali e che, se il manoscritto fosse mostrato a
pochissimi amici, l'incredulita durerebbe, e se a molti, si
diffonderebbe l'opinione che la vecchia e originale storia e molto
meglio scritta che la nuova e rifatta>> (FL prima intr. 5-6).
Subito dopo, per convincere della verita della storia narrata, dato che
<<i dubbi su di essa non possono nascere da altro che dal non
trovare verita nel costume, nei fatti e nei caratteri del tempo
rappresentato>>, il narratore-editore mostra l'intenzione di
fornire ai lettori puntigliosi <<una bibliografia dotta>>,
<<una scelta delle letture opportune>>. La storicita dei
fatti narrati viene inoltre ribadita piu volte all'interno della
prima redazione del testo. Per esempio, per giustificare quella che,
all'interno della descrizione del piano per il rapimento di Lucia,
potrebbe apparire come un'eccessiva semplificazione narrativa,
leggiamo: <<Se questa fosse una storia inventata, non mancherebbe
di certo qualche lettore il quale troverebbe un gran difetto di
previdenza nella perfidia ordita da Egisto e dalla Signora [...] Quei
lettori i quali vorrebbero che in una storia anche le insidie fossero
fatte perfettamente, se la prenderebbero con l'inventore: ma questa
critica non puo aver luogo, perche noi narriamo una storia quale e
avvenuta>> (FL II 2. 350). Uno stesso concetto ritorna nei
Promessi sposi, quando scrivendo che, passato il pericolo
d'arresto, Bortolo riprende Renzo a lavorare non solo per bonta, ma
anche per interesse, il narratore rivolgendosi ai lettori aggiunge:
<<Forse voi vorreste un Bortolo piu ideale: non so che dire:
fabbricatevelo. Quello era cosi>> (PS XXXIII 566).
Oltre a ribadire la veridicita dei fatti narrati, il rapporto con i
lettori mette spesso a fuoco un problema tutt'altro che secondario,
quello cioe del fastidio che digressioni piu o meno lunghe potrebbero
suscitare in chi legge (25). In questo caso, <<la strategia
manzoniana non e quella di evitare le parti potenzialmente noiose, bensi
quella di indicare cosa eventualmente saltare, scusarsi
preventivamente--ed ironicamente--carpire il consenso del destinatario
mostrandosi consapevole della sua psicologia fruitiva>> (26). La
consapevolezza della noia che potrebbe nascere nel lettore di fronte a
divagazioni <<che rompono il filo della matassa, e fermano
l'arcolaio a ogni tratto>> (FL II 2. 192), spinge il
narratore a definire ironicamente le sue digressioni
<<tiritera>> (FL I 3. 69), <<ciarle da
discussione>> (FL II 11. 383), <<chiacchierata>> (PS
XIII 228) o <<cicalar>> (PS XXII 378). Egli mostra inoltre
di essere fin troppo a conoscenza del pericolo che i lettori,
approfittando di una digressione troppo estesa o della fine di un blocco
narrativo, decidano di rinunciare a proseguire nella lettura del
romanzo: <<Noi corriamo il rischio di perdere, o forse abbiamo gia
perduti tre quarti dei nostri lettori; cioe almeno una trentina; tanto
piu che questa fatale digressione e venuta appunto a gettarsi nella
storia nel momento il piu critico, sulla fine d'un volume, dove il
ritrovarsi ad una stazione e un pretesto, una tentazione fortissima al
lettore di non andare piu innanzi, dov'e mestieri di una nuova
risoluzione, d'un generoso proposito per riprendere e quasi
ricominciare il penoso mestiere del leggere>> (FL II 11. 383). A
volte e il narratore stesso che suggerisce al lettore la possibilita di
saltare le parti meno gradite: <<Il lettore [...] potra saltare
alcune pagine per riprendere il filo della storia: e per me lo consiglio
di far cosi: giacche le parole che mi sento sulla punta della penna sono
tali da annojarlo o anche da fargli venire la muffa al naso>> (FL
II 1. 171); <<Intorno a questo personaggio bisogna assolutamente
che noi spendiamo quattro parole: chi non si curasse di sentirle, e
avesse pero voglia d'andare avanti nella storia, salti addirittura
al capitolo seguente>> (PS XXII 369). Questa prassi raggiunge il
suo culmine in un luogo del Fermo e Lucia in cui, con evidente ironia
metanarrativa, il narratore giunge a proporre una sorta di cooperazione
tra se stesso, lettori perseveranti e lettori delusi, che appaiono cosi
vicini gli uni agli altri, quasi facciano parte della platea di un
teatro (27): <<Noi tronchiamo dunque subitaneamente questa
digressione, pregando quei pochi i quali l'avessero letta fin qui a
fare le nostre scuse a quelli che per noja avranno gettato via il libro
a mezzo di questo capitolo, pregandoli anche di assicurarli che saltando
tutto il capitolo avrebbero la continuazione della storia, e di
prometter loro in nostro nome, che noi vi ci getteremo in mezzo a pie
pari al principio del prossimo volume, che la continueremo senza
interruzione, seguendo fedelmente il manoscritto, e mescolandovi del
nostro il meno che sara possibile>> (FL II 11. 383).
Il narratore, ben consapevole di trovarsi di fronte a dei lettori
inesperti, essendo il romanzo <<un genere proscritto nella
letteratura italiana moderna, la quale ha gloria di averne
pochissimi>> (FL prima intr. 5), tende a fornire spesso
all'interno del testo una serie di punti di raccordo narrativi,
cioe di richiami a quanto gia narrato in precedenza (<<preoccupato
di cio che il lettore sa>>, PS VII 118; <<se ve ne
rammentate>>, PS XVI 272; <<se il lettore si
ricorda>>, PS XX 338; <<se vi rammentate>>, PS XXIX
499; <<chi sa se ve ne rammentate ancora>>, PS XXIX 500),
oppure di inviti affinche il lettore colmi i vuoti narrativi da se
(<<fece cio che il lettore s'immagina certamente>>, PS
XII 211; <<lo lascio pensare a voi>>, PS XIX 329;
<<l'accoglienze vicendevoli se l'immagini il
lettore>>, PS XXXVIII 651; <<come questi rimanessero lo
lascio considerare a voi>>, PS XXXVIII 661). Quest'ultimo
aspetto, ossia l'affidarsi all'immaginazione del lettore,
particolarmente evidente nell'edizione finale del romanzo, e sia un
modo per non cadere in stereotipi, sia una maniera per evitare
lungaggini: si giunge cosi dalla relazione polemica narratore-lettori
del Fermo e Lucia, a una relazione cooperativa fondata su una voluta
reticenza narrativa e sulla conseguente delega di responsabilita al
lettore: <<Renzo ando a mettersi a sedere sur una; un momento dopo
Agnese si trovo li sull'altra: e son certo che se il lettore,
informato com'e delle cose antecedenti, avesse potuto trovarsi li
in terzo [...] son certo dico che ci avrebbe provato gusto, e sarebbe
stato l'ultimo a venir via. Ma d'averla su carta tutta quella
conversazione, con parole mute, fatte d'inchiostro, e senza
trovarci un solo fatto nuovo, sono di parere che non se ne curi molto, e
che gli piaccia piu d'indovinar da se>> (PS XXXVII 643-644).
Questa stessa idea di cooperazione, sebbene si faccia
particolarmente marcata nella parte finale dei Promessi sposi, compare
gia quando, con un certo sapore di oralita, che ha il chiaro scopo di
carpire l'interesse del pubblico reale, il lettore prende parte
attiva nel romanzo, rivolgendo al narratore domande che, con un grado
crescente di complessita, sono inizialmente volte a chiarificare lo
sviluppo della storia, poi ad approfondire questioni morali o anche
erudite che il testo sembrerebbe aprire: <<"Ma perche si
prendeva tanto pensiero di Lucia? E perche al primo avviso s'era
mosso con tanta sollecitudine, come a una chiamata del padre
provinciale? E chi era questo padre Cristoforo?"--Bisogna
soddisfare a tutte queste domande>> (PS IV 57);
<<Quell'uomo era stato a sentire sull'uscio del suo
padrone; aveva fatto bene? E fra Cristoforo faceva bene a lodarlo di
cio? Secondo le regole piu comuni e meno contraddette e cosa molto
brutta; ma in quel caso poteva riguardarsi come un'eccezione? E ci
sono eccezioni alle regole piu comuni o meno contraddette?--Questioni
importanti ma che il lettore dovra risolvere da se, se ne ha
voglia>> (PS VI 93-94); << E come mai, dira codesto lettore,
tante opere sono dimenticate, o almeno cosi poco conosciute, cosi poco
ricercate? [...] La domanda e senza dubbio ragionevole e la questione
molto interessante>> (PS XXII 377-378).
2.2. Nella narrativa cinese al narratore che assume il ruolo
tradizionale del cantastorie corrisponde il narratario che riveste
quello dell'ascoltatore (kanguan) che, inteso come una
collettivita, e supposto seduto di fronte al cantastorie in un teatro,
una sala da te, o per strada (28). Tradizionalmente, nella narrativa in
volgare, lo scrittore riporta le osservazioni che gli ascoltatori
potrebbero fare sentendo una storia. In tal modo la cooperazione
narratore-narratario, se da un lato come nella letteratura occidentale
aiuta a dipanare l'intreccio narrativo, dall'altro, proprio
grazie a questo travestimento in cantastorie-ascoltatori, forma un
aspetto distintivo della narrativa cinese, che tende cosi a conservare
il tradizionale patrimonio formulare della letteratura orale o
pseudo-orale. Per concentrarci sul nostro romanzo, possiamo vedere come
fin dall'inizio del primo capitolo appaia questo particolare tipo
di dialettica narratore-narratario: <<Di cosa parla dunque questo
libro, di quali persone, in che epoca e sotto quale dinastia e
ambientato? Signori, abbiate un po' di pazienza e ascoltate il
vostro cantastorie che pian piano ve lo dira>> (EYZ I 8). In
situazioni che potrebbero lasciare qualche dubbio nel lettore, troviamo
spesso ascoltatori che interrompono la narrazione per porre direttamente
domande, alle quali segue la risposta del cantastorie. Lo schema di tali
interruzioni e quasi sempre lo stesso: <<--Un attimo, cantastorie!
Queste tue parole sembrano davvero incredibili [...]--Non e cosi,
c'era un motivo>> (EYZ IV 59); <<--Ehi, cantastorie!
Quello che hai detto e davvero impossibile [...]--Signori, riguardo a
quelle parole, dovreste anche tener in conto la circostanza in cui
vennero dette>> (EYZ XXXI 299); <<--Ehi, cantastorie!
Va' piano, voglio fare un'interruzione [...]--Signori, non e
cosi>> (EYZ XXVI 387). A volte e il cantastorie direttamente che
interrompe il flusso della narrazione per prevenire possibili domande da
parte degli ascoltatori: <<Signori, il vostro cantastorie sta
parlando ormai da un bel po', pero non ha detto ancora chi era
quella ragazza, perche aveva fatto quelle domande al signorino e come
faceva a conoscere cosi bene tutti i suoi movimenti [...] Devo darvi
qualche spiegazione, altrimenti voi ascoltatori morirete di
curiosita>> (EYZ V 62).
Il narratore, nella sua veste di cantastorie, da grandissima
importanza al <<riferire>> (jiaodai), termine con il quale
indica il suo rapportarsi con il pubblico: <<In questo capitolo il
vostro cantastorie ha innanzitutto qualcosa da riferirvi>> (EYZ
VIII 94). A volte il cantastorie sembra preoccuparsi della reale
possibilita di comprensione della storia da parte di un pubblico di
ascoltatori, composto da persone presenti fin dall'inizio, e da
altre giunte solo in un secondo momento: <<Io, il vostro
cantastorie, ho una sola bocca, trovo cosi difficile riferire
contemporaneamente i fatti di due famiglie, tanto piu che devo
presentarli alle orecchie di tante persone. E poi, tra gli ascoltatori,
c'e anche chi e arrivato prima, chi dopo, e bisogna anche garantire
a quelli presenti fin dall'inizio di ascoltare la storia dal
principio alla fine>> (EYZ XXIII 327).
Piu volte il cantastorie si preoccupa di far capire come tutte le
singole parti siano legate all'insieme della storia. Usando una
terminologia specifica della critica letteraria, mostra come in un
romanzo debbano necessariamente alternarsi ripetizioni, richiami,
interruzioni e divisioni interne. Cosi, quando nel capitolo sedicesimo,
proprio mentre si sta finalmente per rivelare l'identita della
protagonista, i personaggi presenti decidono di proseguire la
conversazione per iscritto (cosa che chiaramente escludera i lettori,
dato lo stile dialogico del brano), il cantastorie sente il bisogno di
anticipare le proteste degli ascoltatori, informandoli del perche,
nell'economia del testo, a quel punto debba necessariamente esservi
un tale passaggio: <<Sebbene queste storie non ufficiali siano
solo un divertimento, hanno al loro interno delle regole, le stesse che
adoperano gli scrittori seri. Bisogna distinguere innanzitutto biografie
principali, biografie secondarie, protagonisti, ruoli di contorno,
allusioni, spiegazioni, menzogna e verita, solo allora vi sara una
struttura [...] La biografia ufficiale di Tredicesima Sorella e tutta
nel seguito [...] Quindi a questo punto non possiamo non scrivere
qualche frase vuota [...] in modo che l'essenza della storia
rimanga nel seguito, sebbene ne venga anticipato qualche dato>>
(EYZ XVI 219-220). Lo scrittore, mostra in questo e simili luoghi, una
raffinata conoscenza delle convenzioni e delle prassi della narrativa e
si rivolge a un lettore altrettanto addentro alle questioni letterarie
(29).
Da alcuni degli esempi riportati, possiamo gia vedere come in
Storia di amore ed eroismo, il riferimento a una presunta trasmissione
orale del racconto non si limiti, come avviene nella maggior parte dei
romanzi cinesi, all'uso di formule tipiche dell'oralita, ma si
spinga ad adoperare tecniche ed espedienti narrativi propri dei
cantastorie. E' a tal proposito interessante fare
un'osservazione sui piani temporali in cui si svolge il racconto.
Come visto, fin dall'inizio il cantastorie dichiara di riferire una
storia avvenuta piu di cento anni prima, un fatto cioe che ha gia avuto
luogo ed e gia concluso. Spesso pero si ha l'impressione che la
storia si stia svolgendo al momento dell'interazione del
cantastorie con gli ascoltatori, che cioe si tratti di una vicenda
ancora in corso, tutt'altro che conclusa: <<Mentre vi sto
raccontando la storia, loro due, ospite e padrone di casa, si sono gia
passati di mano da cinque a dieci grandi coppe di vino>> (EYZ XV
205); <<Nell'attimo in cui lui va a prendere i fogli, il
vostro cantastorie vuol fare un'interruzione>> (EYZ XVI 219);
<<Ma non dovremmo ciarlare cosi, abbiamo interrotto la
conversazione dei giovani sposi>> (EYZ XXX 469). Gli interventi
del cantastorie sembrano cosi a volte influire sullo stesso svolgimento
del racconto, dando l'idea di una contemporaneita tra gli eventi
narrati ed il momento dell'esposizione-ricezione. Questa apparente
sincronia tra il narrare e il narrato trova il suo culmine in alcuni
passi, come quello riportato in 1.2., in cui gli stessi personaggi della
storia narrata decidono di far qualcosa invece che un'altra per
rispetto verso lo scrittore e il cantastorie.
Se tradizionalmente nei romanzi cinesi ogni capitolo si chiude
invitando il lettore a leggere il successivo, Wen Kang gioca spesso su
questa convenzione, interrompendo il capitolo nel momento di massimo
coinvolgimento per il pubblico. L'esempio piu celebre e alla fine
del quinto capitolo, quando An Ji viene legato ad una colonna da un
bandito travestito da monaco che, messogli a nudo il torace, sta per
calare il pugnale ed estrargli le interiora. Ad un certo punto si sente
un rumore, il tonfo di qualcosa che cade e il capitolo finisce.
All'inizio del successivo il cantastorie si intromette:
<<Alcuni di voi, ancor prima di sapere tutta la storia, in ansia
per questi personaggi vissuti tempo fa, avendomi sentito dire cosi,
saranno di certo scoppiati in lacrime. Ammetto di essere dalla parte del
torto. Vi prego di calmarvi; la persona caduta per terra non era il
signorino An [...] Ma allora di chi si trattava? Si trattava del monaco!
Ma se a cadere era stato il monaco, perche non ho detto con allegria
"il monaco cadde". Che bisogno c'era di fare tante
chiacchiere? Il vostro cantastorie ha voluto solo fare un po' di
baccano>> (EYZ VI 69). Questo gioco sulle aspettative del lettore
si ripete con una certa frequenza nel romanzo, dove nei momenti piu
coinvolgenti il narratore interrompe il discorso con digressioni di
vario tipo. Cosi, tornando al capitolo sesto, An Ji, legato dal monaco a
una colonna, e svenuto, quando una pallottola, scagliata da qualcuno con
un arco, uccide prima il monaco malvagio, poi il suo aiutante, che
morendo lascia cadere il bacile di bronzo in cui avrebbe dovuto riporre
le interiora del ragazzo, il quale viene cosi svegliato dal suono. Wen
Kang e consapevole che a questo punto i lettori vorrebbero subito sapere
chi ha salvato il ragazzo e, tramite il narratore, rallenta la velocita
dell'azione, introducendo una spiegazione medica del perche An Ji
si sia risvegliato al rumore del bacile, perche in precedenza fosse
svenuto, di come i suoi organi interni avessero reagito a questi stimoli
esterni, bloccando per un po' il respiro e la circolazione
sanguigna (EYZ VI 70-71).
2.3. La figura del narratore ha dunque un corrispondente
all'interno dei due romanzi in quella del narratario, presentato
come una comunita di persone, che si rivolgono al primo in maniera
collettiva anziche individualizzata. Ne consegue una frequente
teatralizzazione del rapporto tra le due parti, evidente soprattutto in
presenza di una interruzione dell'ordine rettilineo del racconto,
dovuta all'inserzione di una digressione di varia natura, o ad una
sospensione dell'ordine temporale degli eventi, che in genere si
verifica quando il narratore, in caso di separazione di personaggi
inizialmente uniti, decide di seguirne prima uno poi l'altro, con
varie analessi. Le proteste, cosi come i possibili dubbi o le curiosita,
di quelli che saranno i lettori reali, cioe l'insieme delle persone
che effettivamente leggeranno i romanzi, vengono quindi anticipate in
questo dialogo narratore-narratario, che indica come i due scrittori,
sia pur con le dovute differenze, tendano ad improntare la narrazione a
un fondamentale principio di chiarezza espositiva.
Questa dialettica tra le due voci appare particolarmente vivace nel
testo cinese, in cui, a causa della finzione di oralita su cui si basa
la tradizione del romanzo volgare, il gioco metanarrativo e condotto con
maggiore liberta, spingendosi fino a una modernissima sospensione della
temporalita, a favore di una sincronia tra personaggi della storia
narrata, autore, narratore e pubblico di ascoltatori.
Conclusioni. Sebbene i due scrittori attuino un'apparentemente
simile suddivisione dell'istanza narrativa, a causa della diversita
tra i contesti storico-culturali in cui questa tecnica si inserisce, lo
sviluppo che trova all'interno dei due romanzi mostra profonde
differenze. Se infatti, almeno nella sua origine, il topos del
manoscritto ritrovato ha il chiaro scopo di fomire una giustificazione
storica per eventi di fantasia, una parvenza di verita per i fatti
narrati (30), la finzione del cantastorie, presente all'interno di
tutta la tradizione narrativa in cinese volgare, non sembra avere altro
fine che quello del rispetto di una tra le principali convenzioni
narrative. Mentre in Manzoni il narratore ha la principale funzione di
integrare quanto manca in un testo, di cui del resto fin
dall'inizio ha dichiarato di voler attualizzare la lingua e i
giudizi morali, riservandosi al contempo il diritto di operare eventuali
omissioni su quanto ritenuto non indispensabile, in Wen Kang il
cantastorie ribadisce spesso di attenersi rigorosamente, per quanto
riguarda tutte le scelte narrative, al testo dell'Ozioso di
Pechino, che del resto, quando viene evocato, appare sempre bloccato
nella sua raffigurazione di autore-archetipo (seduto davanti ad un
manoscritto, al lume di una fioca lampada, con un pennello consunto in
mano). Si noti tra l'altro come una tale cristallizzazione in un
ruolo fissato fin dal principio sia ben lontana dalla progressiva
acquisizione d'importanza dell'anonimo nel romanzo manzoniano.
In entrambi i romanzi il peso dell'interazione con il pubblico
di lettori o di ascoltatori, spetta al narratore, che lascia capire
chiaramente la responsabilita che questa comporta. Anche in questo caso,
non possiamo non tener conto nella nostra analisi della diversita
dell'ambiente culturale in cui i due scrittori operano. Manzoni,
che scrivendo in Italia il suo romanzo poteva guardare a ben pochi
precedenti, con i suoi appelli al narratario si rivolge direttamente a
un pubblico necessariamente inesperto di lettori, del quale non era in
grado di valutare ne la composizione, ne l'estensione. Scopo quindi
del narratore manzoniano e quello di voler educare il pubblico alla
lettura di un romanzo--in particolar modo di un romanzo storico--e,
risolta la fase conflittuale del Fermo e Lucia in un rinnovato rapporto
costruttivo e collaborativo, cerca di responsabilizzare il lettore
chiedendogli di esercitare immaginazione e capacita di giudizio nel
corso della lettura dell'opera. Wen Kang scrive invece in un
contesto completamente diverso, dato che nell'ottocento il romanzo
cinese e giunto al suo periodo di massima diffusione a livello popolare.
Lo scrittore cinese quindi, a differenza di Manzoni, non ha alcun
bisogno di educare il pubblico alla lettura, cosi piuttosto che
chiederne la collaborazione, puo permettersi da un lato di giocare con
le aspettative del lettore in passi dal forte sapore metanarrativo,
dall'altro di mostrare in modo esplicito i criteri estetici e
letterari che sono alla base delle sue scelte, con delle digressioni che
costituiscono una sorta di commentario interno all'opera.
Note
(1) Storia di amore ed eroismo e solo una tra le possibili
traduzioni del titolo originale. Tra i titoli proposti in inglese
possiamo almeno ricordare A Tale of Tender-hearted Heroes, A Tale of
Heroic Lovers e Tales of Boy and Girl Heroes. Per un'analisi del
romanzo cfr. MARAM EPSTEIN, Ernu Yingxiong Zhuan': Playing with
Gender/genre.
(2) Riguardo al diverso uso che dello stereotipo del manoscritto
ritrovato fanno i due autori, cfr. PINO FASANO, L 'importazione del
romanzo storico in Italia. Scott e Manzoni, p. 21: <<Mentre Scott
in genere abbandona il meccanismo nelle Introduzioni, Manzoni approfitta
di questa finzione per esercitare lungo tutto il romanzo una costante
osservazione ironica e autoironica sui procedimenti narrativi >>.
(3) Sulla relazione tra i Promessi sposi e il Don Chisciotte di
Cervantes cfr. MARTA CHINI, Naturalmente un manoscritto: Cide Hamete e
l'anonimo manzoniano.
(4) Cfr. MONICA FARNETTI, Il manoscritto ritrovato. Storia
letteraria di una finzione, p. 69.
(5) Gia nella didascalia iniziale dell'Orlando innamorato il
testo viene presentato come <<tradutto dalla verace cronica de
Turpino, arcivescovo remense, per il magnifico conte Matteo Maria
Boiardo conte de Scandiano>>.
(6) Frequenti gli incisi come: <<se non mente il libro de
Turpino>> (I i 61 7), <<se Turpin dice il vero>> (II
xxvii 12 2).
(7) Per la mutazione del rapporto del narratore con l'autore
nelle introduzioni delle varie redazioni del romanzo, cfr. ANTONIO
ILLIANO, Premesse a una definizione normativa dell'autore-narratore
manzoniano.
(8) Del resto e ovvia la divisione tra la figura dell'autore
reale del testo e quella del narratore: il narratore e infatti solo
<<uno strumento della narrazione tra gli altri a disposizione di
chi costruisce un racconto>>, cfr. ANDREA BERNARDELLI e REMO
CESARINI, Il testo narrativo, pp. 75-76. Una suddivisione piu sottile e
quella tra <<autore reale>> del testo, cioe lo scrittore,
l'<<autore implicito>>, ossia una visione che lo
scrittore ha di se e che deposita implicitamente nel testo, e il
<<narratore>>, la voce narrante. Riguardo all'autore
implicito, cfr. SEYMOUR CHATMAN, Storia e discorso. La struttura
narrativa nel romanzo e nel film, p. 115-116: <<A differenza del
narratore, l'autore implicito non puo dirci niente. Egli, o meglio
esso, non ha voce, non ha mezzi di comunicazione. Ci istruisce in
silenzio, attraverso il disegno del tutto, con tutte le voci, con tutti
i mezzi che ha scelto per farci apprendere>>.
(9) Cfr. DOMENICO DE ROBERTIS, Ilpersonaggio e il suo autore, p.
98.
(10) Si noti pero come anche in questo rafforzamento della figura
dell'anonimo in quella di un interlocutore, Manzoni alluda
ironicamente all'inconsistenza della pretesa di verita della sua
storia. L'anonimo, che dovrebbe fungere da garante della storicita
della trama, ha probabilmente appreso i fatti da Renzo: <<Come la
facesse [Renzo] quando trovava due strade; se quella poca pratica, con
quel poco barlume, fossero quelli che l'aiutassero a trovar sempre
la buona, o se l'indovinasse sempre alla ventura, non ve lo saprei
dire; che lui medesimo, il quale soleva raccontar la sua storia molto
per minuto, lunghettamente anzi che no (e tutto conduce a credere che il
nostro anonimo l'avesse sentita da lui piu d'una volta), lui
medesimo, a questo punto, diceva che, di quella notte, non se ne
rammentava che come se l'avesse passata in letto a sognare>>
(PS XXXVII 369). La fonte ultima dell'attendibilita storica dei
fatti narrati, sarebbe quindi il principale personaggio
d'invenzione che, oltre ad essere un chiacchierone, appare a volte
in dubbio su alcuni passaggi del suo stesso racconto. Cfr. MASSIMILIANO
MANCINI, Scrittura del tumulto e tumulto della scrittura. Aspetti
metanarrativi e metalinguistici in Promessi Sposi ' XI-XVI.
(11) Cfr. GIUSEPPE PONTIGIA, Manzoni e l'anonimo, reticenza e
omissione nei 'Promessi sposi'.
(12) Cfr. VITTORIO SPINAZZOLA, L 'io narrante e il suo doppio.
(13) Si veda ad es. quanto scritto nella prima stesura
dell'introduzione al Fermo e Lucia, p. 5: <<L'autore di
questa storia e andato frammischiando alla narrazione ogni sorta di
riflessioni sue proprie; a me leggendo il manoscritto ne venivano altre
e diverse; paragonando imparzialmente le sue e le mie, io veniva sempre
a trovare queste ultime molto piu sensate, e per amore del vero ho
preferito lo scrivere le mie a copiare le altrui>>.
(14) Sull'argomento cfr. ANTONIO ILLIANO, Morfologia della
narrazione manzoniana dal 'Fermo e Lucia' ai 'Promessi
sposi', pp. 48-53.
(15) Per un paragone tra il romanzo cinese e quello occidentale,
cfr. ANDREW H. PLAKS, Full-lenght Hsiao-shuo and the Western Novel: A
Generic Reappraisal.
(16) EDOARDA MASI, Cento trame di capolavori della letteratura
cinese, p. 299.
(17) Per un'analisi della questione cfr. LIANGYAN GE, Out of
the Margins: The Rise of Chinese Vernacular Fiction, pp. 10-35.
L'ipotesi di una diretta influenza delle storie orali sulla
narrativa in volgare non e pero accettata da tutti gli studiosi, per es.
HENRY Y.H. ZHAO, The Uneasy Narrator: Chinese Fiction from the
Traditional to the Modern, p. 43-45, sostiene che nel primo periodo
della narrativa in volgare, in cui i testi erano frutto di numerose
stesure ad opera di vari scrittori, l'imitazione di un contesto di
esposizione orale sarebbe servita a coprire questa carenza di una
precisa figura autoriale, in quanto negli spettacoli dei cantastorie di
strada la figura dell'autore e del tutto irrilevante. Alla fine di
questo primo periodo, definito appunto rewriting period, ossia a cavallo
tra il sedicesimo e il diciassettesimo secolo, quella del cantastorie
che si rivolge a degli ascoltatori era ormai divenuta una convenzione
impossibile da cambiare.
(18) Limitandosi alla figura del narratore, cui tradizionalmente
spettano tutte le interazioni col lettore interno, le spiegazioni, i
giudizi morali e le opinioni personali, PATRICK HANAN in The
Personalized Storyteller sostiene che di certo nessuna novella cinese ha
mai auto un narratore cosi vivido, esuberante e vivace.
(19) Cfr. DAVID L. ROLSTON, "Point of View" in the
Writings of Traditional Chinese Fiction Critics, in particolare pp.
120-124.
(20) Qualcosa di simile puo essere visto solo in un romanzo della
stessa epoca, Huayue Hen, Tracce di fori e luna, di Wei Xiuren
(1819-1874), in cui alla fine del primo capitolo il narratore riferisce
in quali circostanze abbia trovato il testo originario sepolto e come
abbia poi deciso di usarlo come base per un racconto orale, in modo da
guadagnare un po' di denaro nelle sale da te. Al di la di questa
interessante somiglianza col topos del manoscritto ritrovato della
letteratura occidentale, va pero notato che nei capitoli successivi gli
interventi del narratore sono molto limitati. Cfr. PATRICK HANAN, The
Personalized Storyteller.
(21) Sull'argomento cfr. CHARLES J. WIVELL, The Chinese Oral
and Pseudo-oral Narrative Traditions.
(22) Come all'autore reale non corrisponde il narratore, cosi
il narratario non equivale al lettore reale, cioe l'effettivo
ricevente del testo, ma e piuttosto vicino al lettore implicito, cioe il
lettore ideale, presupposto come destinatario dell'opera, e quindi
<<un espediente col quale l'autore implicito informa il
lettore reale su come giocare la parte del lettore implicito>>.
Cfr. SEYMOUR CHATMAN, op. cit., p. 157.
(23) SALVATORE S. NIGRO, Naufragi di terra ferma, nota introduttiva
al Fermo e Lucia, p. XIV.
(24) Cfr. CLOTILDE BERTONI, Il romanzo in discussione: il discorso
metanarrativo nel 'Fermo e Lucia'.
(25) Del resto la digressione sottopone sempre a uno sforzo il
lettore, cfr. FABIO VITTORINI, Il testo narrativo, p. 57: <<Ogni
vota che in un romanzo il racconto della storia principale viene sospeso
e la serie dei fatti che lo compongono interrotta per far spazio a una
digressione- narrativa (solitamente un'analessi), descrittiva o
riflessiva- al lettore viene implicitamente chiesto di compiere uno
sforzo: egli deve atendere con pazienza che il racconto riprenda, deve
sospendere l'assimilazione della catena di eventi della storia
principale, per assistere all'avvio di un'altra catena di
eventi presumibilmente piu brevi della prima, a essa subordinata o
completamente autonoma, deve essere pronto a riordinare quanto gia letto
alla luce di quanto sta per leggere, disporsi a integrare le proprie
informazioni su fatti, personaggi, atmosfere, prestarsi a effusioni
liriche, riflessioni e generalizzazioni>>.
(26) Cfr. ANDREA RONDINI, Lettori. Forme della ricezione ed
esperienza di lettura nella narrativa italiana da Foscolo al nuovo
millennio, p. 74.
(27) L'importanza del luogo e stata sottolineata, tra gli
altri, da ANTONIO ILLIANO, Tecnica e sintassi del racconto ironico in
Manzoni: 'Fermo e Lucia'.
(28) PATRICK HANAN, The Nature of Ling Meng-chu's Fiction, p.
87, a proposito della simulazione dell'oralita scrive:
<<"Simulated context" means the context of a situation
in which a piece of fiction claims to be transmitted. In Chinese
vernacular fiction, of course, the simulacrum is that of oral
story-teller addressing his audience, a pretence in which the author and
the reader happily acquiesce in order that the fiction can be
communicated>>.
(29) Cfr. MARAM EPSTEIN, op. cit., in particolare pp. 282-283, e
soprattutto DAVID L. ROLSTON, Wen Kang: Narrator-commentator vs. Author.
(30) Non a caso infatti nei romanzi storici il manoscritto viene
citato per la prima volta all'interno della prefazione, luogo in
cui si cerca di fornire al lettore la chiave di lettura dell'opera,
di persuaderlo cioe che l'autore del romanzo non e chi l'ha
scritto, dato che questi tende a presentarsi come semplice editore di un
testo redatto da altri. Cfr. MONICA FaRNETTI, op. cit., pp. 139-148.
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[Received 10 May 2013; accepted 14 Jan. 2014]
Catello Criscuolo is an assistant professor in the Department of
Italian Language and Literature at Fu Jen University, where he teaches
Italian literature and language courses of various levels. His main
areas of research include Chinese literature, Italian literature and
Chinese-Western comparative literature.