Pierluigi Pellini. Naturalismo e verismo. Zola, Verga e la poetica del romanzo.
Bellini, Davide
Pierluigi Pellini. Naturalismo e verismo. Zola, Verga e la poetica
del romanzo. Nuova edizione riveduta e aggiornata. Firenze: Le Monnier
Universita, 2010.
Nella storia delle arti visive, l'impressionismo ci appare
come il tipico momento di dirompente innovazione formale, capace di
sconvolgere i postulati epistemologici del realismo e di aprire il varco
alla modernita. Perche, invece, quando si pensa alla storia della
letteratura, il naturalismo si presenta sempre irremediabilmente
lontano, e anzi quasi contrapposto, rispetto alle inquietudini e alle
disarticolazioni del Novecento? E da domande come questa che prende le
mosse Pierluigi Pellini per provare a ridiscutere alcuni aspetti
cruciali della poetica del romanzo europeo del secondo Ottocento,
ripresentando con alcune modifiche un agile volumetto troppo trascurato
alla sua prima apparizione (La Nuova Italia, 1998).
Comparatista attento alla letteratura francese, curatore del primo
volume dei romanzi di Zola uscito per i Meridiani nel 2010, Pellini
espone fin da subito le tesi difondo del suo lavoro: <<il primo
romanziere della modernita letteraria e Gustave Flaubert; nella poetica
del naturalismo, e segnatamente nelle sue aporie, e possibile
rintracciare i germi piu fecondi del romanzo novecentesco; gli elementi
di continuita prevalgono nettamente su quelli di rottura nel passaggio
dal naturalismo al grande 'modernismo' di primo Novecento;
nello sviluppo del genere-romanzo, percio, la seconda svolta storica,
dopo quella decisiva di fine Settecento, non si colloca negli ultimi
anni del secolo, ma a meta dell'Ottocento>> (VII).
Rispetto a questa stringata premessa, pero, occorre fare una
precisazione. E vero, si possono rintracciare nel romanzo naturalista i
germi degli sviluppi novecenteschi; ma a ben vedere e lo stesso percorso
tracciato da Pellini a farci oltrepassare questa prospettiva, in qualche
modo teleologica. Cio che emerge alla fine del libro non e
l'immagine di un naturalismo inteso come poetica sostanzialmente
ottocentesca, eppure 'riscattatabile' per le sporadiche
anticipazioni degli sviluppi successivi; al contrario, si profila
un'autonoma modernita del naturalismo, destinata in parte ad
estinguersi e in parte a continuare nelle innovazioni del romanzo
modernista del primo Novecento, ma comunque non meno significativa.
Si pensi soltanto alla dilatazione del panorama oggettuale che
riguarda l'immaginario del naturalismo. Il sempre maggiore peso
delle descrizioni, oltre che un dato di fisionomia stilistica, e anche
il segno che nel mondo rappresentato dal romanzo naturalista gli stessi
attori umani tendono ad oggettualizzarsi, ad essere vissuti dal reale
piu che a viverlo. Questo fenomeno segna da una parte, com'e ovvio,
la distanza con il Bildungsroman tradizionale; ma, in un senso meno
scontato, costituisce una punta di estrema modernita destinata in parte
ad essere riassorbita con i romanzi del primo Novecento, in cui
<<si puo assistere anche a un parziale restauro della centralita
umana rovesciata dal naturalismo: cosi in un importante filone narrativo
che si fonda su una nuova mitologia del soggetto, cui la psicoanalisi
freudiana da una base teorica decisiva>> (141). Sia pure
definitivamente lacerato, il personaggio-uomo tornera insomma al centro
dei romanzi di Pirandello e Svevo, di Proust e Kafka, come non lo era
invece in quelli di Zola e (in parte) di Verga.
Poi le ragioni della continuita. Gli esordi di Huysmans e
D'Annunzio, future guide europee del decadentismo, sono chiaramente
debitori dell'humus naturalista; Mallarme, quando teorizza la sua
<<scomparsa elocutoria del poeta>> (99) e promuove una piu
fluida combinazione del significante, non e troppo lontano dalle
premesse epistemologiche dell'impersonalita e del romanzo
sperimentale. Perche la narrativa naturalista, nella sua declinazione
piu moderna (quella di Zola), non e affatto una rappresentazione a tutto
tondo del reale, sostanziata da attanti pieni e solidi o da una logica
discorsiva uniforme. Al contrario, la sua novita consiste proprio nella
frammentarieta mimetica, nell'appiattimento dei protagonisti messi
in scena, nel disordine babelico dei discorsi confluenti sulla pagina.
Il personaggio, venuta meno la procedura di amplificazione tipizzante
inaugurata da Balzac, si assottiglia fino a diventare una sorta di
passivo recettore degli stimoli circostanti, che si imprimono sul suo
punto di vista come su una <<lastra fotografica>> (84).
Anche il narratore subisce una drastica parcellizzazione, con i noti
effetti di impersonaIita e polifonia. La costruzione della trama non
deve piu indulgere alle ragioni del romanzesco, del colpo di scena, dei
finali in crescendo, ma semplicemente attenersi a un vischioso e
centrifugo proces-verbal del grigiore quotidiano. E questo il nucleo piu
avanguardistico del naturalismo europeo, rappresentato soprattutto dal
suo capofila francese. Ma poi non mancano ambiguita e divaricazioni
interne. Lo stesso Zola, per motivi di calcolo editoriale, e costretto
in parte a tradire la logica del romanzo-resoconto concepito come
insieme aperto di dati, e a perseguire effetti drammatici o
melodrammatici. Anche da noi e una realta il melodramma verista, per
quanto la formula appaia, in questo senso, una <<contraddizione in
termini>> (122).
Quanto all'indebolimento dell'istanza autoriale,
anch'essa nasconde oscillazioni significative. In Zola il principio
guida della mimesi romanzesca e si quello, teoricamente meccanico e
passivo, della <<lastra fotografica>>; ma l'autore
conserva un certo margine di autonomia progettuale grazie al modello
dell'esperimento medico desunto da Bernard. Agli autori veristi,
viceversa, rimane estraneo il concetto di sperimentazione; ma la loro
autonomia sul piano dell'inventio e ancora piu ampia che nei
francesi, grazie al postulato della <<ricostruzione
intellettuale>> a distanza. (Aggiungerei che a gettare le basi di
questa specificita del verismo contribuiscono non poco le letture di
Capuana negli anni Sessanta-Settanta, che assimila a fondo le teorie di
Taine sullo statuto indiretto e superiore della rappresentazione
narrativa rispetto al reale, basato sull'evidenza di un
<<carattere dominante>> o di un'immagine fondamentale.
Cio per dire anche che, di fronte al giudizio assai limitativo di
Pellini sul Capuana narratore, quantomeno l'importanza di Capuana
come mediatore ideologico puo difficilmente essere rimossa).
L'erosione delle prerogative autoriali e l'indebolimento
del personaggio portano poi ad inibire uno dei meccanismi piu tipici
della lettura borghese, quello dell'identificazione. Sostituendo lo
straniamento alla catarsi, insomma, il naturalismo prelude davvero alle
negativita dissonanti del moderno. Questo passaggio e rilevabile, nota
con acume lo studioso, nello stesso itinerario di Verga, che dapprima,
in una lettera a Capuana del 1874, critica Madame Bovary perche
<<il romanzo non ti fa affezionare ai personaggi del
dramma>>, ma che successivamente finisce proprio per adottare
un'impersonalita destinata a moltiplicare i punti di vista e quindi
a disinnescare qualsiasi identificazione. Pellini respinge cosi la tesi
di un Verga <<senza conversione>>, dietro la quale individua
la volonta di un filone critico (aperto da Debenedetti e a lungo
sorretto dalla sua autorita) inteso a negare proprio le ascendenze
zoliane di Verga. Al contrario, i capolavori di Verga dipenderebbero in
gran parte da quelli di Zola (e di Flaubert), restringendosi cosi
notevolmente i margini per individuare una via autonoma del verismo
italiano.
O meglio: se ci sono elementi peculiarmente veristi, essi vanno
ricondotti secondo Pellini alla parte meno moderna della poetica del
romanzo, e non tanto ad altre dimensioni tematiche, come per esempio
quella dell'antinomia sociologica citta/campagna. La
rappresentazione degli scenari cittadini rientrava anche nel programma
dei veristi; il punto e che, mentre Zola non si preoccupa di modificare
i propri strumenti mimetici quando si muove fra i vari punti dello
spazio sociale, in Verga e Capuana c'e l'idea che per
l'ambiente borghese servano tecniche piu raffinate e profonde di
quelle idonee a rappresentare gli scenari rusticani. Sarebbe questo
l'equivoco che rende meno avanzato il verismo, e che andrebbe
ricondotto alla persistenza, nella cultura italiana, di convenzioni
retoriche di lungo corso, innanzitutto <<l'imperativo della
divisione degli stili>> (130). Per quanto abbia pianificato la
rappresentazione dell'intero organismo sociale, poi, Verga sembra
conservarne una visione piu irrigidita e gerarchica, che in parte lo
frena nella propria analisi. Non per niente il ciclo dei Vinti si
presenta appunto come un ciclo orientato da una freccia sociale, mentre
per i Rougon-Macquart sarebbe piu corretto parlare di una
<<serie>> romanzesca senza bussole sociologiche.
Anche in Zola, comunque, manca il mito del progresso. Il suo
determinismo non e fatto di cause meta fisicamente permanenti, ma di una
pluralita di cause <<prossime>>, parziali e frammentate, che
pongono le basi per una visione destrutturata e caotica del reale. Il
mondo dei suoi romanzi, dominato da inesorabili circuiti materialistici,
si rivelerebbe cosi non troppo lontano dalla radicale negativita del
pensiero di Schopenahuer. Sostenuto da una scrittura trasparente ma
carica di senso critico, Pellini illumina anche questa <<feconda
ambiguita>> del naturalismo, in un volume che non perde mai di
vista il nesso profondo fra poetica ed ideologia.
DAVIDE BELLINI
Universita di Palermo