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  • 标题:Quando e Come il Cinema Parla Dialetto.
  • 作者:De Rossi, Camilla
  • 期刊名称:Italica
  • 印刷版ISSN:0021-3020
  • 出版年度:2010
  • 期号:March
  • 语种:English
  • 出版社:American Association of Teachers of Italian
  • 摘要:Il cinema, fin dalla sua nascita, convenzionalmente stabilita nel 1895, in Francia, ad opera del fratelli Lumiere, correda la componente iconica del film con l'aggiunta di espressioni scritte o pronunciate, tuttavia, per oltre settant'anni, alla dimensione verbale del cinema e riservata una scarsa considerazione. In realta la parola contribuisce in modo sostanziale, lungo l'intera storia del cinema, alla costituzione del testo filmico, unendosi all'immagine normalmente sotto forma grafica nel muto e sotto forma fonica sincronizzata nel sonoro (Raffaelli 2001: 859). Da cib si pub ricavare una periodizzazione a grandi linee della parola filmica, costituita dalla bipartizione in un periodo muto e in uno sonoro, la quale ha assunto quale fattore storiografico discriminante il mutamento del canale delle realizzazioni verbali nei film. Tale periodizzazione pero pub essere accolta solo se si ritaglia dai primi anni del tradizionale periodo muto una terza fase a se stante che viene definita da Raffaelli (Raffaelli 1992: 59) del cinema orale, essendo caratterizzata da realizzazioni verbali a viva voce, da intendersi sia come battute recitate da attori dietro lo schermo, sia come lettura in sala di didascalie, commenti, titoli, parti di dialogo e riassunti di momenti rilevanti del film.

Quando e Come il Cinema Parla Dialetto.


De Rossi, Camilla


Il presente contributo, di carattere generale, si propone di inquadrare la presenza del dialetto nel cinema italiano.

Il cinema, fin dalla sua nascita, convenzionalmente stabilita nel 1895, in Francia, ad opera del fratelli Lumiere, correda la componente iconica del film con l'aggiunta di espressioni scritte o pronunciate, tuttavia, per oltre settant'anni, alla dimensione verbale del cinema e riservata una scarsa considerazione. In realta la parola contribuisce in modo sostanziale, lungo l'intera storia del cinema, alla costituzione del testo filmico, unendosi all'immagine normalmente sotto forma grafica nel muto e sotto forma fonica sincronizzata nel sonoro (Raffaelli 2001: 859). Da cib si pub ricavare una periodizzazione a grandi linee della parola filmica, costituita dalla bipartizione in un periodo muto e in uno sonoro, la quale ha assunto quale fattore storiografico discriminante il mutamento del canale delle realizzazioni verbali nei film. Tale periodizzazione pero pub essere accolta solo se si ritaglia dai primi anni del tradizionale periodo muto una terza fase a se stante che viene definita da Raffaelli (Raffaelli 1992: 59) del cinema orale, essendo caratterizzata da realizzazioni verbali a viva voce, da intendersi sia come battute recitate da attori dietro lo schermo, sia come lettura in sala di didascalie, commenti, titoli, parti di dialogo e riassunti di momenti rilevanti del film.

Sulla base di tale periodizzazione riguardante la parola filmica in generale, sembra possibile riproporre una tale tripartizione anche per l'uso filmico del dialetto, seppure con limiti cronologici e terminologia differenti.

Nei suoi scritti Raffaelli (Raffaelli 1983: 20-21) distingue-precisando che per una periodizzazione pifi funzionale 6 opportuno creare, entro questi estesi spazi cronologici, scansioni temporali minori, realizzabili grazie all'emergere di manifestazioni linguistiche nuove, come il prevalere di un certo dialetto oppure il variare nel tempo del rapporto quantitativo della produzione dialettale--l'epoca del dialetto orale (integrazione del testo filmico a viva voce), a cavallo del secolo; l'epoca del dialetto scritto (rappresentazione grafica della componente filmica verbale), dai primi del secolo al 1929; infine l'epoca, da allora ad oggi, del dialetto riprodotto (sua realizzazione orale, meccanicamente registrata e poi emessa, con frammistione di rumori e musiche).

La prima fase, che si sviluppa tra la fine del diciannovesimo secolo e il primo decennio del ventesimo, nguarda i film con integrazione dialettale dal vivo, intendendo attribuire valore testuale filmico non soltanto alle didascalie orali effettive, cioe alle integrazioni verbali gia presupposte in fase realizzativa, ma anche agli apporti verbali estemporanei, come variazioni di esecuzione, commenti illustrativi spesso improwisati, etc.

Il ricorso al dialetto orale viene fatto attraverso due modalita: un uso all'improvviso, tipico di una produzione concepita, realizzata e fruita localmente, caratteristica di quei grandi centri urbani (1) dove si erano costituite parlate regionali a cui attingevano cantastorie, giocolieri, ambulanti, etc.; un uso elaborato, tipico del film di finzione, allestiti con artifici tecnico-espressivi quali la messinscena, la recitazione, il montaggio--accorgimenti che facilitavano e talvolta richiedevano l'inserzione di elementi verbali orali nel testo iconico--nei quali predominavano espressioni dialettali gia collaudate nel teatro, nei caffe-concerto e nei varieta.

E opportuno sottolineare che, anche dopo l'affermarsi della didascalia scritta, gli episodi di integrazione filmica orale non vengono meno: le melodie cantate o trascritte sullo schermo potevano essere eseguite dal vivo, le didascalie dialogiche recitate da attori in carne ed ossa, infine la lettura pubblica delle scritte filmiche, a beneficio soprattutto degli analfabeti, poteva prestarsi ad interferenze dialettali.

La presenza del dialetto scritto nei film si puo riscontrare dai primi anni del ventesimo secolo, in cui le didascalie cominciano ad essere

inserite abitualmente nelle pellicole, al 1928-1929, anni in cui cominciano a fare la loro comparsa i primi film parlati.

Dapprima, e fino allo scoppio della prima guerra mondiale, le differenti parlate locali trovano occasionale affermazione, con funzione per lo piu comica e svalutativa. Tale periodo, definito policentrico (Raffaelli 1992: 64), e rimasto in gran parte sconosciuto agli studiosi sia perche nessuna pellicola precedente alla guerra sopravvive ad attestare l'adozione di didascalie dialettali sia perche i produttori italiani piu attivi puntavano, per le loro opere, non allo sfruttamento locale, ma al mercato nazionale e internazionale. Le uniche apparizioni di comunicazioni geograficamente e socialmente circoscritte si possono riscontrare nella gestualita degli interpreti di produzioni comiche e nei titoli di film con medesima funzione, spesso desunti dai rispettivi soggetti originari, siano essi canzoni o opere teatrali. Come apprendiamo (Raffaelli 1992: 67), essi risultano concentrati in particolare attorno al 1914-15, cioe nel momento di massimo fervore commerciale e artistico del primo cinema italiano e la loro presenza 6 piu evidente in centri quali Napoli, (2) Milano, (3) Torino, (4) nei quali lo spettacolo in dialetto aveva una cospicua tradizione.

In seguito, se da un lato la guerra frena l'espansione del primo cinema italiano e, in un contesto dominato da un italiano spesso medioalto, le scelte linguistiche umili non trovano spazio, dall'altro la crisi globale concorre a provocare un certo ripiegamento su una produzione aperta pure alle parlate locali, che assicuri almeno il consenso del pubblico regionale. Tali film, rari a Milano, Roma e Torino, centri nei quali la produzione continuava ad avere destinazione nazionale, costituirono invece a Napoli, fino all'ottobre 1928, anno in cui l'istituto della censura amministrativa dispose di non concedere piu il nulla osta di circolazione alle pellicole di ambienti napoletani che persistessero su cliches che offendono la dignita di Napoli e dell'intera Regione, un filone tipico, tanto da rappresentare la prima utilizzazione filmica non estemporanea del dialetto.

La terza e ultima fase, costituita dalla vicenda della riproduzione meccanica della componente sonora dialettale del film, e complessa e articolata ed e opportuno innanzitutto separare il quindicennio fascista dal periodo che dal dopoguerra giunge fino al giorni nostri.

In generale possiamo dire che durante i primi quindici anni dall'avvento del sonoro, le interferenze dialettali erano rare e, laddove si presentassero, erano legate a stereotipi narrativi psicologici o sociali e possedevano deboli risorse espressive e quindi scarsa capacita di offrite al pubblico informazioni sull'Italia dialettale del tempo e nuove competenze linguistiche. Ma cosi come per l'italiano filmico, anche per la dimensione dialettale, negli anni compresi tra il 1930 e il 1945, si possono distinguere tre sottoperiodi. Nello specifico, seguendo la normale scansione cronologica del fatti filmici e attenendosi al lessico di Raffaelli (Raffaelli 1992: 81), possiamo parlare di anni della Cines, fra il 1929 e il 1934, nei quali il regionalismo linguistico spicca come scelta in certa misura anche culturale; anni di Freddi, dal 1935 al 1939, che appaiono dominati dal culto di un italiano asettico e senz'accento, e infine gli anni di guerra, in cui il dialetto risulta impiegato in funzione dapprima macchiettistica ma alla fine forse gia realistica.

Nel periodo compreso tra il 1929 e il 1934 la produzione (5) e caratterizzata da usi linguistici regionali non estesi e da una drastica eliminazione o almeno dall'attenuazione del tratti dialettali piu stretti. Inoltre, in essa, le eventuali restanti manifestazioni idiomatiche servono soltanto a diversificare geograficamente o socio-culturalmente i personaggi. Alessandro Blasetti e l'unico a utilizzare consapevolmente il dialetto in quegli anni.

In questo stesso periodo rimane poco aperto a suggestioni linguistiche regionali non solo ovviamente il cinema drammatico o serio, ma anche la produzione comica che continua a far arrivare dal teatro dialettale soggetti, personaggi e attori pur sacrificando il loro linguaggio abituale al culto dell'italofonia. Ad esempio nel film La tavola del poveri, primo caso di adattamento di un testo teatrale napoletano di Mario Soldati e Raffaele Viviani per il mercato nazionale, la normalizzazione linguistica in direzione dell'italiano viene conseguita stemperando i tratti idiomatici peculiari, diradando le battute originarie e addirittura, per alcune parti, affidando il racconto filmico esclusivamente alle immagini.

Un'altra particolarita di questo periodo e rappresentata dal fatto che gli attori si preoccupano sempre meno di possedere una reale competenza attiva del dialetto del loro personaggi, cosa che favorisce, con il passare degli anni, una presenza nel linguaggio filmico dell'epoca di tratti dialettali fittizi e approssimativi. A titolo di esempio, mentre in Figaro e la sua gran giornata, film (6) recitato in dialetto, tratto dalla commedia Ostrega che sbrego! di Arnaldo Fraccaroli, il protagonista Gianfranco Giachetti e fiorentino di nascita ma cresciuto a Venezia e pertanto interprete illustre del teatro veneziano, in La cantante dell'opera, (7) tratto da Nel cappuccio di S. Stae di Gino Rocca, la fiorentina Germana Paolieri ha dovuto anche parlare in veneto.

Quanto a 1860 (8) di Blasetti, che Raffaelii (Raffaelli 1992: 89-90) ha definito il prototipo di noti viaggi nell'Italia dialettale, quali in particolare Paisa (1946) di Roberto Rossellini e I1 cammino della speranza (1950) di Pietro Germi, qui, per la prima volta, i dialoghi introducono il siciliano (9) accanto al toscano, (10) al piemontese, (11) al ligure e al veneto, (12) il tutto pero subordinato quantitativamente all'italiano.

Durante gli anni compresi tra il 1935 e il 1939 Direttore generale della cinematografia e il dialettofobo Luigi Freddi e pertanto le testimonianze dialettali (13) furono molto rare e relegate alle macchiette di contorno: si trattava piu che altro di variazioni regionali per lo piu fonetiche deli'italiano. Una cosi vistosa diminuzione delle testimonianze dialettali nelle pellicole cinematografiche viene controbilanciata da un italiano semplice e funzionale, a mezza via tra lingua e dialetto, e al tempo stesso anche artificioso: si veda, a titolo di esempio, Il signor Max di Camerini (1937), caratterizzato da una disinvolta mescolanza di codici e registri e nel quale, come sottolinea Raffaelli, De Sica compare ora come un cosmopolita che parla inglese, ora come giornalaio dalla sintassi approssimativa, (14) ora come tassista schiettamente dialettofono (15) (Raffaelli 1992: 94).

Tra il 1940 e il 1945, in concomitanza con l'incremento di certa xenofobia, si sviluppa anche un netto rifiuto nei confronti delle parlate locali che vengono immediatamente abolite in tutti gli ambiti culturali e di intrattenimento, cinema compreso. A poco a poco pero, soprattutto nel cuore della guerra, visto il crescente gradimento del pubblico per le manifestazioni aderenti alla realta spicciola, il cinema riesce a sottrarsi alle condanne ufficiali: battute in un dialetto sempre meno italianizzato entrano non soltanto nel genere della commedia, (16) ma anche nei film drammatici. (17)

Secondo Raffaelli pero, nonostante questa presenza piu ampia e frequente di innesti dialettali, il dialetto continua a ricoprire una funzione esclusivamente simbolica e non realistica (Raffaelli 1992: 101).

Dopo il 1945 la produzione dialettale sembra essere la piu ricca sia dal punto di vista quantitativo sia da quello qualitativo, sebbene si possa notare una spiccata tendenza ad attenuare le peculiarita dialettali piu strette ricorrendo ora alla stereotipizzazione ora all'alterazione espressiva.

Con l'avvento del Neorealismo (18) il dialetto arriva ad assumere, per la prima volta nella storia del cinema italiano, una posizione non piu subalterna alla lingua italiana, ma di parita assoluta. Come rimarca Rossi (Rossi 2006: 189-190), e a partire dal Neorealismo che il cinema smette i panni dell'insegnante di lingua (li cedera, a partire dai 1954, alla televisione, almeno fino agli anni Settanta-Ottanta), per assumere il ruolo di <<specchio delle lingue>>. Ma sara uno specchio via via sempre piu semplificante (a causa della tendenza alla stereotipizzazione insita nel mezzo cinematografico stesso) o deformante (nelle rare soluzioni espressionistiche del nostro cinema, [...]).

Tale epoca puo essere suddivisa, viste le diverse manifestazioni linguistiche dialettali che la caratterizzano, in ulteriori tre sottocategorie. Utilizzando la terminologia di Raffaelli, si puo parlare di dialettalita imitativa, dialettalita stereotipata e infine di dialettalita espressiva e riflessa.

Come gia accennato piu sopra, nel secondo dopoguerra si sviluppa la corrente cinematografica del Neorealismo, i cui film (19) sono caratterizzati dalla rappresentazione di vicende autentiche ed attuali dell'Italia. A tale scelta tematica non puo non corrispondere la scelta poetica di perseguire l'autenticita anche nella realizzazione verbale parlata di una situazione linguistica che si presenta composita, plurilingue e pluridialettale. Il dialetto non e pero una scoperta esclusiva: gia nel ventennio fascista, nonostante le direttive puriste, il dialetto era entrato nel linguaggio cinematografico, ma in questo secondo dopoguerra si assiste a una maggiore mobilita geografica del dialetti. Per il dialetto riprodotto nelle pellicole di questi anni, caratterizzate da un mimetismo quasi integrale, si parla di dialettalita imitativa.

In realta Roma, citta aperta, film inaugurale di questo movimento, ambientato nella Roma del 1943-1944, occupata dai nazifascisti e in cui la lotta, le sofferenze, i sacrifici della gente sono raccontati attraverso le vicende di una popolana (Anna Magnani), di un sacerdote e di un ingegnere comunista, e il meno connottato in senso dialettale e sembra rispondere a intenti piu simbolici che realistici.

Pur notando le coloriture romane di Anna Magnani (20) e di qualche altra figura di contorno, Rossi (Rossi 2006: 191) sottolinea che in realta i dialoghi del film sono nel complesso molto formali e il lessico e estremamente ricercato e spesso ridondante. Il critico (Rossi 2006: 192) si dichiara d'accordo con Sergio Raffaelli nel sostenere che fenomeno caratteristico del pochi ma incomparabili classici del neorealismo non e la dialettalita a se stante, bensi l'adozione mimetica dell'intero repertorio di codici e di registri in uso.

Paisa (21) invece, che ritrae sei episodi della Seconda guerra mondiale in Italia seguendo l'avanzata degli alleati anglo-americani dallo sbarco in Sicilia (22) alla lotta partigiana sul delta del Po, (23) passando per Napoli, (24) Roma, (25) Firenze (26) e per un convento dell'Appennino toscoemiliano, (27) presenta al pubblico un profilo vario d'un Italia linguistica per lo piu dialettofona. Del resto Rossi nota che gli ambienti militari sono sempre i piu consoni alla riproduzione delle varieta dialettali e, in generale, del plurilinguismo (Rossi 2006: 177).

Il critico pero rileva che una lingua ancora piu realistica la si puo sentire in Sciuscia (28) che rappresenta quasi senza censura il mondo linguistico degli adolescenti emarginati, ricorrendo persino al turpiloquio (29) e a forme di dialetto (30) arcaiche e non usurate (Rossi 2006: 196). Trai vari dialetti centro-meridionali del giovani detenuti predomina il romanesco, in contrapposizione psicologica e sociale con l'italiano degli adulti.

Tratto dall'omonimo romanzo di Luigi Bartolini, il film Ladri di biciclette, il cui nucleo e ambientato in una sola giornata che si svolge da un capo all'altro della Roma del dopoguerra, deve anche al dialoghi, (31) il merito di essere diventato uno del capolavori del Neorealismo. In essi un romanesco di livello medio-basso e contrapposto talvolta all'italiano di tono elevato del ricchi. Le caratteristiche fonetiche, morfosintattiche e lessicali del romanesco sono pienamente rispettate, nonostante gli scambi comunicativi non siano collocabili al gradini piu bassi della scala diastratica (il turpiloquio infatti e quasi assente).

Una tra le pochissime pellicole in cui il dialetto, caratterizzato nel caso specifico da un massimo di realismo sul piano fonetico e morfologico, e stato integralmente riprodotto nei suoi registri piu lontani da ogni forma di italianizzazione e La terra trema, 1948, di Luchino Visconti. In seguito al confronto con la lingua di due del precedenti film citati, Parigi evidenzia che il siciliano in presa diretta e incomprensibile di Visconti non intrattiene alcun legame con il romanesco doppiato di Ladri di biciclette o con il plurilinguismo moderno e dinamico di Paisa. Tuttavia osserva anche che nel realismo trasfigurato de La terra trema, la funzione del dialetto e piu ideologica ed estetica che mimetica, e piu espressiva che documentaria, piu espressionistica che naturalistica, smentendo <<qualsiasi idea di neorealistica improvvisazione o di supposta spontaneita popolare>> (Parigi 141-164 cit. in Rossi 1999: 63).

Protagonista unico di Umberto D., pellicola convenzionalmente ritenuta conclusiva della corrente neorealistica, e il glottologo Carlo Battisti, mite e silenzioso pensionato, ridotto a non essere piu economicamente in grado di sopravvivere, che rifiuta la tentazione dei suicidio per non abbandonare il proprio cane. Nel film parlano molto di piu i volti, le strade, le cose che non le battute del dialoghi. Nonostante cio Raffaelli, in seguito al suo studio su La lingua di Umberto D., riferisce che il testo del film propone uno spaccato verifiero del composito repertorio delle risorse comunicative verbali d'una Roma etnicamente e socialmente eterogenea (Raffaelli 1993:29-48 cit. in Rossi 2006: 211). Si va dall'italiano formale e senz'accento all'italiano regionale romano e all'italiano dell'uso medio, all'italiano standard con venature fonetiche settentrionali del protagonista, al dialetti centro meridionali, in primis quello della domestica abruzzese di Umberto, Maria, mai, peraltro, rappresentati nelle loro forme piu distanti dall'italiano.

Gli anni compresi tra il 1952 e il 1962 sono invece caratterizzati da una dialettalita stereotipata, quella che caratterizza i film, (32) tematicamente 'leggeri', appartenenti alle correnti del Neorealismo rosa e della Commedia ali'italiana, in cui i dialetti sono usati prevalentemente in chiave caricaturale, per caratterizzare un ambiente, un livello sociale, un tipo, un personaggio, un mestiere, e in cui prevalgono trovate dialettali ormai usurate. Tali film abbandonano il criterio della mimesi dialettale, tipico del neorealismo, e adattano, in modo inevitabilmente approssimativo, il codice originario alle esigenze della comprensibilita e della gradevolezza, fornendo cosi realizzazioni posticce e modulate secondo quella che il critico Raffaelli definisce un'informalita falsamente spontanea (Raffaelli 1992: 120). Dal canto suo Rossi le segnala come pellicole nelle quali nessun personaggio parla una lingua autentica o almeno prevedibile (cioe socialmente e geograficamente verosimile). Si va da un perfetto doppiaggese, a ibridi romano-fiorentineggianti, a un italiano regionale lievemente spostato, foneticamente, ora verso il romanesco, ora verso il napoletano (Rossi 1999: 69). Ma, mentre Due soldi di speranza, con cui si fa convenzionalmente iniziare la corrente del Neorealismo rosa, e ancora linguisticamente realistico, esibendo un napoletano assolutamente marcato e credibfle, sono Pane amore e fantasia e Poveri, ma belli i due risultati piu significativi della suddetta tendenza cinematografica.

Pane amore e fantasia, 1953, di Luigi Comencini, in cui, in un paesino dell'Italia centrale, il nuovo maresciallo del Carabinieri mette gli occhi su Maria, una povera orfana innamorata di un carabiniere veneto, che fa la corte alla levatrice Anna, presenta, accanto al romanesco, al ciociaro, al veneto e all'italiano standard, un napoletano patinato e convenzionale e sembra siano d'obbligo le frasi fatte, le battute crasse, l'arguzia. (33)

Anche Poveri, ma belli di Dino Risi e assolutamente distante da ogni parlato-parlato e da ogni plausibile varieta regionale: vi si parla una lingua ibrida, assolutamente antirealistica. (34) Di questo celebre film Fabio Rossi ha trascritto integralmente i dialoghi (Rossi 2006: 407-488) e ha osservato l'originalita della soluzione linguistica: una sorta di romanesco annacquato e innaturalmente riprodotto dai doppiatori, che diventa una lingua franca buona un po' per tutti gli usi (per lo piu comici) del cinema italiano.

Viene ridotto ad un'inflessione piu o meno marcata anche il siciliano della commedia di Pietro Germi, per mettere in ridicolo le attitudini e i tabu del personaggi, assumendo, dunque, valore simbolico: Masoni e Vecchi sottolineano come da Divorzio all'italiana in avanti lo stereotipo dell'ometto in coppola, baffi e lupara funge da scarico esorcistico per le miserie (sessuali in primis) di tutta la societa (Masoni--Vecchi 75-86 cit. in Rossi 2006: 356).

Si tratta di una linea caratterizzata dall'innaturalismo e dall'ibridismo linguistico intersecata con la tendenza a sfruttare una certa corrispondenza tra dialetto e mestiere, carattere o attore. Rossi sostiene che tali stereotipi sono in parte frutto del luogo comune e del pregiudizio, in parte mediati dal teatro della tradizione (dalla commedia cinquecentesca a quella goldoniana e all'opera buffa) e dalla Commedia dell'Arte: il sessuomane e il poliziotto hanno l'accento siciliano, l'ingenuo quello bergamasco, veneto o ciociaro, il cocciuto il sardo, l'arrivista senza scrupoli il milanese, la domestica il veneto o l'abruzzese, l'imbroglione il napoletano, la prostituta il bolognese (Rossi 2006: 346).

Nel ventennio seguente, dal 1963 alla crisi degli anni Ottanta, la storia del dialetto filmico presenta caratteristiche, secondo Raffaelli, inconsuete (Raffaelli 1992: 127): a fronte di un'Italia coinvolta in un euforico processo di industrializzazione e caratterizzata da continui spostamenti dalla campagna alla citta e dal Sud al Nord, con conseguente aumento dell'italofonia a spese soprattutto del dialetti rurali, il cinema, proprio in questa fase di regressione del dialetti, accoglie fenomeni di matrice dialettale in grado di estensione via via crescenti. Parlando di dialettalita espressiva e riflessa, Raffaelli (1992: 128) ha voluto contraddistinguere tre orientamenti tipici:

1. l'utilizzazione mimetica di varieta di italiano di uso locale;

2. lo sfruttamento espressivo costante di peculiarita dialettali di ogni parte della Penisola;

3. il lancio 'a corso forzoso' di dialetti conservativi.

In verita la prima tendenza caratteristica di questo periodo e pressoche sopraffatta dalle altre due: il cinema infatti, dai primi anni Sessanta in avanti, interessato quasi esclusivamente alla vita e al problemi della citta, e venuto sempre meno a contatto con la dialettofonia e ha abbandonato un po' alla volta i suoi iniziali intenti mimetici.

Quanto alla dialettalita espressiva, le modalita di ricorso ad essa sono, sempre a detta del critico (Raffaelli 1992: 134-142), abbastanza varie.

a) Si puo verificare l'inserimento piu o meno esteso di brani in dialetto in un contesto italiano che, chiudendoli e quasi comprimendoli in cornice, sembra attenuare e quasi annullare la loro funzione comunicativa. A questo proposito si citano, a titolo di esempio, 8 e 1/2, 1963, I clowns, 1971, Amarcord, 1973, di Federico Fellini, tutti film nei quali il romagnolo stretto e conservativo assume connotazioni melodico-esoteriche; Il Casanova, 1977, sempre di Federico Fellini, in cui il regista si e giovato anche dell'apporto linguisfico di Andrea Zanzotto.

b) Ci si puo trovare dinnanzi a quel settore di film con gradazioni che vanno dali'italiano regionale al dialetto piu o meno italianizzato e persino al dialetto alterato. E il caso di Sedotta e abbandonata, 1964, di Pietro Germi, d'ambiente siciliano, in cui la deformazione caricaturale del dialoghi e condotta all'esasperazione.

c) Altre forme di dialettalita espressiva si possono riscontrare in quei film di Lina Wertmuller, in cui la regista ha utilizzato i tratti fonetici delle parlate meridionali, talora mescolate e deformate fino al limite della comprensibilita. Si ricordano Mimt metallurgico ferito nell'onore del 1972; Film d'amore e d'anarchia del 1973, in cui, come sottolinea Rossi (2002: 1044), la rapida successione di parlate (35) esagerate e urlate costituisce un efficace corrispettivo acustico ai primi piani espressionisticamente deformati e ostentati nei loro tratti piu duri; Tutto a posto e niente in ordine del 1974, ambientato in una babelica 'casa ospitale' milanese (ormai al limite dell'autonomia del significante); Fatto di sangue fra due uomini per causa di una vedova del 1978, ritirato, secondo la stampa del tempo, perche i dialoghi riuscivano incomprensibili perfino agli stessi spettatori meridionali.

d) Ci si puo avvalere di un linguaggio nato per accostamento audace di codici e di registri diversi: e cio che accade per la categoria dei film che raccontano storie evocative di epoche passate quali H Vangelo secondo Matteo, 1964, di Pier Paolo Pasolini, caratterizzato dai suoi impasti di dialetti e di varieta dell'italiano; Edipo re, 1968, e Medea, 1969, ancora di Pier Paolo Pasolini, nei quali l'espressivita verbale risulta esasperata da elementi dedotti dal patrimonio di culture arcaiche; Salome, 1972, di Carmelo Bene, in cui la mescolanza di lingue e dialetti lontani acquista un risalto particolare nella molteplicita barocca delle immagini.

e) Infine e emblematico il filone popolaresco degli anni 1971-1973, pseudo-trecentesco (anche nella lingua) e triviale, decameronico, caratterizzato da un plurilinguismo arcaizzante, dominato da fenomeni dialettali soprattutto toscani e romaneschi di maniera e di pessimo gusto. Come unico esempio tra tanti si cita Masuccio Salernitano, 1972, di Sergio Amadio, creato da L'armata Brancaleone, 1966, e Brancaleone alle crociate, 1970 di Mario Monicelli, i due film picareschi, ambientati nell'Italia medievale, in cui la lingua e una mescolanza maccheronica di italiano aulico, latinismi, francesismi, tedeschismi e dialettismi di provenienza varia.

L'ultima tendenza, vale a dire il ricorso, di solito attendibile, al dialetti in estinzione e talora ripuliti dane incrostazioni create dall'italofonia invadente, si e imposta verso il 1980. In tale nuovo orientamento dialettale Raffaelli individua due ulteriori indirizzi:

a) un primo, che si manifesta in film ambientati nell'attualita, contraddistinto da un dialetto con forti connotazioni espressive. Si citano, a titolo di esempio, per il romanesco, Ecce Bombo, 1978, di Nanni Moretti, e Un sacco bello, 1980, di Carlo Verdone; per il lombardo Ratataplan, 1979, di Maurizio Nichetti; per il napoletano Ricomincio da tre, 1981, di Massimo Troisi; infine per il toscano Tu mi turbi, 1983, di Roberto Benigni.

b) Un secondo rappresentato da due esempi di parlate poco note: il bergamasco arcaico in L'albero degli zoccoli, 1978, di Ermanno Olmi (36) e il friulano in Maria Zef, 1981. Nel primo caso il regista, per rievocare liricamente il mondo contadino della pianura bergamasca sullo scorcio dell'Ottocento, ha adottato il dialetto locale in uso tra gli anziani, costringendo gli interpreti giovani e i bambini ad impararlo come una lingua morta. Nel secondo il dialetto viene invece utilizzato da Vittorio Cottafavi, il quale ha ammesso (Cottafavi 1985:39-44 cit. in Rossi 2006: 388) che soltanto combinando vari dialetti friulani e riuscito atirar fuori una lingua che potesse essere compresa da tutti i friulani, per una vicenda di degradazione morale e sociale fra le montagne della Carnia d'inizio secolo.

Se dunque il 1945, data fondamentale nella storia italiana, indica l'inizio di una nuova fase cinematografica caratterizzata da una maggiore naturalezza del dialogo e una superiore aderenza alla realta linguistica italiana, dagli anni Ottanta al nostri giorni il cinema italiano vive una profonda crisi di spettatori e di idee: si assiste al dilagare di film comici (37) che portano sullo schermo un'Italia superficiale, arrivista e volgare. I dialetti, pur presenti nelle produzioni cinematografiche, appaiono sempre piu normalizzati e utilizzati in chiave caricaturale con cliche ormai usurati: i personaggi del film non tradiscono mai alcuna cadenza dialettale, oppure si servono di qualche stereotipo in dialetto senza mai distanziarsi troppo dall'italiano, tendenza che ricalca una contrazione dell'uso del dialetto anche nella societa.

Si discosta notevolmente da questa tendenza generalizzante l'ultima opera cinematografica di Giuseppe Tornatore, Baaria, (38) uscita nelle sale il 25 settembre 2009. I1 regista, che viene da Bagheria, racconta, in lingua siciliana autentica, di zappe e martelli contro mafia e agrari. Il film, parlato appunto in dialetto siciliano con sottotitoli italiani (39) (come La terra trema di Visconti), narra la storia di una famiglia siciliana, quella del regista, dagli anni Trenta sino al nostri giorni e del mutamento della cittadina, del costumi, del modo di vivere locale, siciliano, italiano: un'epopea familiare e di paese che vuole essere lente e metafora dell'Italia dalla seconda guerra mondiale in poi. Questo autoritratto, a cui sia il linguaggio che i tantissimi e variegati personaggi conferiscono il sapore di una realta vitale e frenetica, "inizia con un bambino che corre velocissimo lungo una strada di terra tra vecchie case percorse da carretti tirati da muli; 150 minuti dopo si chiude con un bambino che corre velocissimo trai fitti palazzi della speculazione, nella stessa strada ormai trafficata da un muro di automobili e moto. [...] La grande forza del film [...] e che la folla di attori che lo popolano parla in dialetto baarioto, con quelle grida gutturali che ci ricordano una regione, una nazione che avevamo dimenticato in tutta la sua sottomissione primitiva, la sua superstiziosa rassegnazione, il suo abbandono. In italiano il film [...] sara piu comprensibile, ma certamente meno commovente e ipnotizzante, perche i suoni di quella lingua quasi selvaggia aderiscono completamente alle persone e ne esaltano le storie" (Aspesi 2009).

"La prima immagine di Baaria e una strada polverosa dove dei bambini giocano con la strummula (40) e degli anziani a carte. Uno dei giocatori di carte promette al piccolo Peppino venti lire in regalo se va a comprargli le sigarette e torna prima che la saliva dello sputo fatto per terra si asciughi. Peppino vola, ma l'uomo lo umilia negandogli con prepotenza le monetine promesse. Da qui si sviluppa la storia di un paese attraverso due protagonisti principali, Peppino e Mannina, che il film d consegua bambini, fa innamorare, sposare, avere quattro figli, passare da vittime a protagonisti di una lotta per la giustizia incarnata nella nascente forza del Partito comunista. [...] I1 dialetto siciliano, bagherese stretto, e la lingua naturale di questo film anche per il grande interesse antropologico che riveste la ricostruzione di ambienti e situazioni, l'attenzione per la cultura popolare" (Lombardo 2009). Solo il dialetto siciliano puo "far vivere e respirare questa epopea che abbraccia quasi un secolo di storia dai punto di vista locale e universale, rievocare luoghi e sentimenti, senza tradire il dettaglio, ma anche senza rinunciare alla magia capace d'attraversare il tempo [...]" (Caprara 2009).

BIBLIOGRAFIA

Aspesi, Natalia. Il giorno di Tornatore: Bagheria come l'Italia dall'innocenza alle bustarelle. La Repubblica, 3 settembre 2009.

Cappellato, Federica. La provincia veneta nel cinema italiano. Dai miracolo economico agli anni Ottanta. Padova: Litografia "La Photograph", 2001.

Caprara, Valerio. Kolossal deli'anima che sfida il tempo diventando poesia. Il Mattino, 3 settembre 2009.

Lombardo, Maria. <<Baaria>> strega Venezia. La Sicilia, 3 settembre 2009.

Presa, Giovanni. "Dai dialetto alla lingua nell'originale televisivo I recuperanti." Dal dialetto alla lingua, Atti del IX Convegno per gli studi dialettali italiani. Lecce, 28 settembre-1 ottobre 1972. Pisa: Pacini, 1977: 501-516.

Raffaelli, Sergio. "Il dialetto nel cinema in Italia (1896-1983)." Rivista italiana di dialettologia 7 (1983): 13-96.

Raffaelli, Sergio. La lingua filmata. Didascalie e dialoghi nel cinema italiano. Firenze: Le Lettere, 1992.

Raffaelli, Sergio. "La parola e la lingua". Brunetta, Gian Piero (a cura di). Storia del cinema mondiale, V, Teorie, strumenti, memorie. Torino: Einaudi, 2001: 855-907.

Rossi, Fabio. Le parole dello schermo. Analisi linguistica del parlato di sei film dal 1948 a11957. Roma: Bulzoni, 1999.

Rossi, Fabio. "Dialetto e cinema". Cortelazzo, Manlio (a cura di). I dialetti italiani. Storia struttura uso. Torino: Utet, 2002: 1035-1047.

Rossi, Fabio. Il linguaggio cinematografico. Roma: Aracne, 2006.

CAMILLA DE ROSSI

Universita di Venezia

NOTE

(1) Firenze, Milano, Napoli, Roma, Venezia, etc.

(2) Fenesta che lucive e Sott' 'o canciello, 1914; A Marechiare 'nce sta 'na fenesta e Anema nova, 1915.

(3) La class di asen e El duell del sur Panera.

(4) Le marghere 'd Cavouret (dalla commedia omoniraa dialettale di C. Beccari) e 'L rimedi par le done (dall'opera omonima di Fulberto Alarni), 1914.

(5) Si citano, tra gli altri, Nerone, 1930, primo film sonoro di Alessandro Blasetti; Terra madre, 1931, sempre di A. Blasetti; Il medico per forza e Cortile, 1931, di Carlo Campogalliani; Figaro e la sua gran giornata, 1931, di Mario Camerini; Gli uomini, che mascalzoni ..., 1932, ancora di M. Camerini; La cantante dell'opera, 1932, di Nunzio Malasomma; La tavola del poveri, 1932, di A. Blasetti; Acciaio, 1933, di Walter Ruttmann; 1860, 1934, di A. Blasetti.

(6) Di Mario C, amerini, 1931.

(7) Di Nunzio Malasomma, 1932.

(8) I1 film fu girato in presa diretta e successivamente sincronizzato e parzialmente italianizzato.

(9) Cito da Rossi 2006: 165: <<ora tu te ne vai in paise co padre Costanzo a pigghiari istruzioni precisi>>; [...] <<figghiu meu!>> [...].

(10) Id.: 165: <<anche te tu vieni a Genova?>>; <<oh/bisognava vvedere a Firenze l'accoglienza he gl'e stata fatta al nostro re!>>; [...].

(11) Id.: 165: <<'nduma>> per 'andiamo';<<suta>> per 'sotto'.

(12) Id.: 165: <<No sta pian[??]er/mama/ghe xe i compagni qua!>>. "Con queste parole il volontario veneto, che si accinge a partire per l'impresa del Mille, cerca di rassicurare la madre che lo ha accompagnato fino a Quarto" (Cfr. Cappellato 141).

(13) Si citano, tra gli altri, II cappello a tre punte, 1935, di Mario Camerini, dove la napoletanita linguistica si limita a certa tipica intonazione dell'italiano e Il grande appello, 1936, di Mario Camerini, in cui trabocca il genovese.

(14) <<Perche se io avevo a disposizione del soldi, ora non sarei nei guai>>, con Fuso dell'indicativo al posto del congiuntivo nella subordinata ipotetica.

(15) <<Beh, famo trentacinque, va!>>

(16) Si veda, a titolo di esempio, Ore 9: lezione di chimica, 1941, di Mario Mattoli, in cui l'industriale veneto Campolmi in visita alla figlia, collegiale poco studiosa (Alida Valli), rivolgendosi alla Direttrice del collegio sentenzia: <<Eh, si capisce, povera fia; xe l'eta ... Mejo, mejo! Piu classi se ripete e piu se impara!>>.

(17) Valdostano in Luce nelle tenebre, 1941, di Mario Mattoli; lombardo in Piccolo mondo antico, 1941, e in Malombra, 1942, entrambi di Mario Soldati, tratti dai romanzi di Antonio Fogazzaro.

(18) Per la definizione si veda Rossi 2006: 644-645: "NEOREALISMO.Corrente cinematografica dai confini cronologici e tematici quantomai sfumati, nella quale la maggior parte degli studiosi tende a collocare la produzione di una decina di film (da Roma citta aperta, 1945, di Roberto Rossellini, a Umberto D., 1952, di Vittorio De Sica) girati nel secondo dopoguerra e caratterizzati dai seguenti motivi conduttori: argomenti connessi con il conflitto bellico appena trascorso e soprattutto con la Resistenza, [...] estremo realismo, sia nella recitazione [...], sia nell'ambientazione scenica [...]; preferenza accordata all'elemento corale piuttosto che al protagonismo e al divismo. [...]."

(19) I film che appartengono in senso stretto a tale corrente sono Roma, citta aperta, 1945, film inaugurale, e Paisa, 1946, di Roberto Rossellini; Sciuscia, 1946, Ladri di biciclette, 1948, di Vittorio De Sica; La terra trema, 1948, di Luchino Visconti, e Umberto D., 1952, di Vittorio De Sica.

(20) <<Ma va' a mori ammazzata/va'!>>; <<A voi che ve ne frega?>>.

(21) Raffaelii ricorda che il termine che compare nel titolo comincia a circolare verso il 1944 grazie al soldati italo-americani suggestionati forse da paisano, un ispanismo vitale in certe aree degli Stati Uniti dalla prima meta del XIX secolo. Nelio specifico il tratto dialettale meridionale e palesato dall'apocope (Raffaelli 1992: 107).

(22) <<Me fratre e me patre sono fora da quattro juorne//Du' vote ca tento di lassare 'a sta chiesa [...]// hanno pauta di mannarammici sola// Vi cj accombagno//Canoscio bene 'a strada//Vegno co voe>> (Rossi 2006: 194).

(23) PARTIGIANO: <<Cosa ne faran?>>; PARTIGIANO : <<Ine copara>>; PARTI GIANO: <<E par cosa Cigolani l'a gia copa e noaltri no?>>; PARTIGIANO: <<I ne copara anca noaltri>>; [...] PARTIGIANO: <<M'ho pissa adosso come un putin!>> (Cappellato: 58-59).

(24) <<Chesta e 'a chiave 'e casa// 'E ccase songhe aperte/ ma 'a chiave 'on serve chiu//Ha' cantate buone/ma 'un m'e piaciute proprie>> (Rossi 2006: 194).

(25) <<Che voi? Che vai cercando? E tutta la sera che 'sta brutta disgraziata sta a guarda da 'sta parte>> (Rossi 2006: 194).

(26) <<Ma i' cche la vole he si sappia/noi? Co tutto quello h'e successo/e s'ha altro da pensare!>> (Rossi 2006: 194).

(27) <<E she mia moglie m'aveshe dato mente a me/e i maialini li aveshimo meshi in te cunventi/i tudeshchi non ce li portavano mica via!>> (Rossi 2006: 194).

(28) Il titolo, caratteristica parola di guerra adottata a Roma, e una deformazione dialettale dell'inglese shoe-shine 'lustrascarpe': due giovanissimi lustrascarpe napoletani sognano di comperare un cavallo bianco tutto per loro e, per averlo, s'invischiano in un 'lavoretto' per adulti che li porta in un carcere minorile.

(29) <<A fijo de na mignotta!>>; <<a mignottoni!>>; <<'Sto morto de fame!>>.

(30) Dichi per 'dici'.

(31) Si citano alcune battute dalla scena della messa di beneficienza in cui i ricchi si dimostrano insensibili alle richieste di Antonio (Lamberto Maggiorani). DONNA 1: <<Li fermi!>>; UOMO 1: <<Ehi/dove andate?! Non si puo//>>; ANTONIO: << <Io sto co questo qua>//Vado a pija la minestra//>>; [...] ANTONIO: <<Signori/e venuto un omo/qui?>>; DONNA 2: <<No/non e venuto nessuno// E poi non e ora [...]>>; UOMO 1: <<Ma insomma/si puo sapere che cosa volete?>>; ANTONIO: <<Voglio usci!>>; [...] UOMO 1: <<Ehi! Volete andar via?! Non e questo/il contegno da tenersi in chiesa! Venite via/venite via! Fermatevi!>>; ANTONIO: <<L'ho da trova// [...]>>; UOMO 2: <<Siete venuti per la messa/o per fare chiasso?! Ma cosa volete/ insomma?!>>; ANTONIO: <<Io sto cercando un vecchio ch'era qui//Je l'ho detto!>>; UOMO 1: <<Dopo!>>; ANTONIO: <<Uho da trova/io!>>; [...] (Rossi 2006: 205).

(32) Si citano, tra gli altri, Due soldi di speranza, 1952, di Renato Castellani, Pane amore e fantasia, 1953, di Luigi Comencini, Un americano a Roma, 1954, di Steno, Poveri, ma belli, 1956, e Venezia la luna e tu, 1958, di Dino Risi, I soliti ignoti, 1958, di Mario Monicelli, Divorzio ali'italiana, 1961, di Pietro Germi, Il sorpasso, 1962, di Dino Risi.

(33) <<Che ci mangi?>>; <<Pane, marescia>>; <<E che ci metti dentro?>>; <<Fantasia, marescia>>, dice per esempio un duetto villereccio fra il maresciallo Vittorio De Sica e un giulivo disoccupato (Raffaelli 1992: 120).

(34) Un esempio di antirealismo, come spiega in modo eccellente Rossi, si puo trarre dalle ultime battute della scena di apertura del film in cui il tramviere Alvaro (l'attore Memmo Carotenuto) rincasa dopo il turno di notte e discute con la padrona di casa e con suo figlio Salvatore, con cui condivide il letto.

ALVARO: <<Hai preso tutto?>>; SALVATORE: <<Mo ti fai 'sta mesata di sonno! Ti saluto//>>; [...] SALVATORE: <<Lo so io//Aho/se ti ricapita nel letto/non gli far male/ al grillo// Che quello e il grillo di Iolanda//>>. Quando mal un romano 'de Roma', pronuncerebbe 'ti', 'di', 'gli' e 'far' in luogo di 'te', 'de', 'je' e 'fa'? (Rossi 2006: 223-225).

(35) Lombardo, romanesco, emiliano, napoletano, siciliano, piemontese, toscano, etc.

(36) Come nota sempre Raffaelli, questa di Olmi non e l'unica utilizzazione del dialetto (piu o meno integralmente riprodotto): si veda in particolare il film per la televisione I recuperanti, 1969, in italiano regionale veneto (cfr. Presa).

(37) Profeti di questo nuovo cinema comico sono i fratelli Carlo (alia regia) ed Enrico (alla sceneggiatura) Vanzina.

(38) Bagheria, centro agricolo in provincia di Palermo, e il luogo natale di Tornatore; il toponimo viene dall'arabo Babel gherid 'Porta del vento'. La citta e stata campo di battaglia di oltre un secolo di lotte per l'emancipazione sociale dei braccianti senza terra.

(39) Il film, proiettato in modo capillare nelle sale della penisola, viene mostrato in due edizioni: la siciliana, per gli spettatori al di la dello stretto di Messina, l'italianizzata per quelli dei continente. Per l'estero e prevista l'edizione originale con i sottotitoli.

(40) La trottola di legno con lo spago.
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