Quando e Come il Cinema Parla Dialetto.
De Rossi, Camilla
Il presente contributo, di carattere generale, si propone di
inquadrare la presenza del dialetto nel cinema italiano.
Il cinema, fin dalla sua nascita, convenzionalmente stabilita nel
1895, in Francia, ad opera del fratelli Lumiere, correda la componente
iconica del film con l'aggiunta di espressioni scritte o
pronunciate, tuttavia, per oltre settant'anni, alla dimensione
verbale del cinema e riservata una scarsa considerazione. In realta la
parola contribuisce in modo sostanziale, lungo l'intera storia del
cinema, alla costituzione del testo filmico, unendosi all'immagine
normalmente sotto forma grafica nel muto e sotto forma fonica
sincronizzata nel sonoro (Raffaelli 2001: 859). Da cib si pub ricavare
una periodizzazione a grandi linee della parola filmica, costituita
dalla bipartizione in un periodo muto e in uno sonoro, la quale ha
assunto quale fattore storiografico discriminante il mutamento del
canale delle realizzazioni verbali nei film. Tale periodizzazione pero
pub essere accolta solo se si ritaglia dai primi anni del tradizionale
periodo muto una terza fase a se stante che viene definita da Raffaelli
(Raffaelli 1992: 59) del cinema orale, essendo caratterizzata da
realizzazioni verbali a viva voce, da intendersi sia come battute
recitate da attori dietro lo schermo, sia come lettura in sala di
didascalie, commenti, titoli, parti di dialogo e riassunti di momenti
rilevanti del film.
Sulla base di tale periodizzazione riguardante la parola filmica in
generale, sembra possibile riproporre una tale tripartizione anche per
l'uso filmico del dialetto, seppure con limiti cronologici e
terminologia differenti.
Nei suoi scritti Raffaelli (Raffaelli 1983: 20-21)
distingue-precisando che per una periodizzazione pifi funzionale 6
opportuno creare, entro questi estesi spazi cronologici, scansioni
temporali minori, realizzabili grazie all'emergere di
manifestazioni linguistiche nuove, come il prevalere di un certo
dialetto oppure il variare nel tempo del rapporto quantitativo della
produzione dialettale--l'epoca del dialetto orale (integrazione del
testo filmico a viva voce), a cavallo del secolo; l'epoca del
dialetto scritto (rappresentazione grafica della componente filmica
verbale), dai primi del secolo al 1929; infine l'epoca, da allora
ad oggi, del dialetto riprodotto (sua realizzazione orale,
meccanicamente registrata e poi emessa, con frammistione di rumori e
musiche).
La prima fase, che si sviluppa tra la fine del diciannovesimo
secolo e il primo decennio del ventesimo, nguarda i film con
integrazione dialettale dal vivo, intendendo attribuire valore testuale
filmico non soltanto alle didascalie orali effettive, cioe alle
integrazioni verbali gia presupposte in fase realizzativa, ma anche agli
apporti verbali estemporanei, come variazioni di esecuzione, commenti
illustrativi spesso improwisati, etc.
Il ricorso al dialetto orale viene fatto attraverso due modalita:
un uso all'improvviso, tipico di una produzione concepita,
realizzata e fruita localmente, caratteristica di quei grandi centri
urbani (1) dove si erano costituite parlate regionali a cui attingevano
cantastorie, giocolieri, ambulanti, etc.; un uso elaborato, tipico del
film di finzione, allestiti con artifici tecnico-espressivi quali la
messinscena, la recitazione, il montaggio--accorgimenti che facilitavano
e talvolta richiedevano l'inserzione di elementi verbali orali nel
testo iconico--nei quali predominavano espressioni dialettali gia
collaudate nel teatro, nei caffe-concerto e nei varieta.
E opportuno sottolineare che, anche dopo l'affermarsi della
didascalia scritta, gli episodi di integrazione filmica orale non
vengono meno: le melodie cantate o trascritte sullo schermo potevano
essere eseguite dal vivo, le didascalie dialogiche recitate da attori in
carne ed ossa, infine la lettura pubblica delle scritte filmiche, a
beneficio soprattutto degli analfabeti, poteva prestarsi ad interferenze
dialettali.
La presenza del dialetto scritto nei film si puo riscontrare dai
primi anni del ventesimo secolo, in cui le didascalie cominciano ad
essere
inserite abitualmente nelle pellicole, al 1928-1929, anni in cui
cominciano a fare la loro comparsa i primi film parlati.
Dapprima, e fino allo scoppio della prima guerra mondiale, le
differenti parlate locali trovano occasionale affermazione, con funzione
per lo piu comica e svalutativa. Tale periodo, definito policentrico
(Raffaelli 1992: 64), e rimasto in gran parte sconosciuto agli studiosi
sia perche nessuna pellicola precedente alla guerra sopravvive ad
attestare l'adozione di didascalie dialettali sia perche i
produttori italiani piu attivi puntavano, per le loro opere, non allo
sfruttamento locale, ma al mercato nazionale e internazionale. Le uniche
apparizioni di comunicazioni geograficamente e socialmente circoscritte
si possono riscontrare nella gestualita degli interpreti di produzioni
comiche e nei titoli di film con medesima funzione, spesso desunti dai
rispettivi soggetti originari, siano essi canzoni o opere teatrali. Come
apprendiamo (Raffaelli 1992: 67), essi risultano concentrati in
particolare attorno al 1914-15, cioe nel momento di massimo fervore
commerciale e artistico del primo cinema italiano e la loro presenza 6
piu evidente in centri quali Napoli, (2) Milano, (3) Torino, (4) nei
quali lo spettacolo in dialetto aveva una cospicua tradizione.
In seguito, se da un lato la guerra frena l'espansione del
primo cinema italiano e, in un contesto dominato da un italiano spesso
medioalto, le scelte linguistiche umili non trovano spazio,
dall'altro la crisi globale concorre a provocare un certo
ripiegamento su una produzione aperta pure alle parlate locali, che
assicuri almeno il consenso del pubblico regionale. Tali film, rari a
Milano, Roma e Torino, centri nei quali la produzione continuava ad
avere destinazione nazionale, costituirono invece a Napoli, fino
all'ottobre 1928, anno in cui l'istituto della censura
amministrativa dispose di non concedere piu il nulla osta di
circolazione alle pellicole di ambienti napoletani che persistessero su
cliches che offendono la dignita di Napoli e dell'intera Regione,
un filone tipico, tanto da rappresentare la prima utilizzazione filmica
non estemporanea del dialetto.
La terza e ultima fase, costituita dalla vicenda della riproduzione
meccanica della componente sonora dialettale del film, e complessa e
articolata ed e opportuno innanzitutto separare il quindicennio fascista
dal periodo che dal dopoguerra giunge fino al giorni nostri.
In generale possiamo dire che durante i primi quindici anni
dall'avvento del sonoro, le interferenze dialettali erano rare e,
laddove si presentassero, erano legate a stereotipi narrativi
psicologici o sociali e possedevano deboli risorse espressive e quindi
scarsa capacita di offrite al pubblico informazioni sull'Italia
dialettale del tempo e nuove competenze linguistiche. Ma cosi come per
l'italiano filmico, anche per la dimensione dialettale, negli anni
compresi tra il 1930 e il 1945, si possono distinguere tre sottoperiodi.
Nello specifico, seguendo la normale scansione cronologica del fatti
filmici e attenendosi al lessico di Raffaelli (Raffaelli 1992: 81),
possiamo parlare di anni della Cines, fra il 1929 e il 1934, nei quali
il regionalismo linguistico spicca come scelta in certa misura anche
culturale; anni di Freddi, dal 1935 al 1939, che appaiono dominati dal
culto di un italiano asettico e senz'accento, e infine gli anni di
guerra, in cui il dialetto risulta impiegato in funzione dapprima
macchiettistica ma alla fine forse gia realistica.
Nel periodo compreso tra il 1929 e il 1934 la produzione (5) e
caratterizzata da usi linguistici regionali non estesi e da una drastica
eliminazione o almeno dall'attenuazione del tratti dialettali piu
stretti. Inoltre, in essa, le eventuali restanti manifestazioni
idiomatiche servono soltanto a diversificare geograficamente o
socio-culturalmente i personaggi. Alessandro Blasetti e l'unico a
utilizzare consapevolmente il dialetto in quegli anni.
In questo stesso periodo rimane poco aperto a suggestioni
linguistiche regionali non solo ovviamente il cinema drammatico o serio,
ma anche la produzione comica che continua a far arrivare dal teatro
dialettale soggetti, personaggi e attori pur sacrificando il loro
linguaggio abituale al culto dell'italofonia. Ad esempio nel film
La tavola del poveri, primo caso di adattamento di un testo teatrale
napoletano di Mario Soldati e Raffaele Viviani per il mercato nazionale,
la normalizzazione linguistica in direzione dell'italiano viene
conseguita stemperando i tratti idiomatici peculiari, diradando le
battute originarie e addirittura, per alcune parti, affidando il
racconto filmico esclusivamente alle immagini.
Un'altra particolarita di questo periodo e rappresentata dal
fatto che gli attori si preoccupano sempre meno di possedere una reale
competenza attiva del dialetto del loro personaggi, cosa che favorisce,
con il passare degli anni, una presenza nel linguaggio filmico
dell'epoca di tratti dialettali fittizi e approssimativi. A titolo
di esempio, mentre in Figaro e la sua gran giornata, film (6) recitato
in dialetto, tratto dalla commedia Ostrega che sbrego! di Arnaldo
Fraccaroli, il protagonista Gianfranco Giachetti e fiorentino di nascita
ma cresciuto a Venezia e pertanto interprete illustre del teatro
veneziano, in La cantante dell'opera, (7) tratto da Nel cappuccio
di S. Stae di Gino Rocca, la fiorentina Germana Paolieri ha dovuto anche
parlare in veneto.
Quanto a 1860 (8) di Blasetti, che Raffaelii (Raffaelli 1992:
89-90) ha definito il prototipo di noti viaggi nell'Italia
dialettale, quali in particolare Paisa (1946) di Roberto Rossellini e I1
cammino della speranza (1950) di Pietro Germi, qui, per la prima volta,
i dialoghi introducono il siciliano (9) accanto al toscano, (10) al
piemontese, (11) al ligure e al veneto, (12) il tutto pero subordinato
quantitativamente all'italiano.
Durante gli anni compresi tra il 1935 e il 1939 Direttore generale
della cinematografia e il dialettofobo Luigi Freddi e pertanto le
testimonianze dialettali (13) furono molto rare e relegate alle
macchiette di contorno: si trattava piu che altro di variazioni
regionali per lo piu fonetiche deli'italiano. Una cosi vistosa
diminuzione delle testimonianze dialettali nelle pellicole
cinematografiche viene controbilanciata da un italiano semplice e
funzionale, a mezza via tra lingua e dialetto, e al tempo stesso anche
artificioso: si veda, a titolo di esempio, Il signor Max di Camerini
(1937), caratterizzato da una disinvolta mescolanza di codici e registri
e nel quale, come sottolinea Raffaelli, De Sica compare ora come un
cosmopolita che parla inglese, ora come giornalaio dalla sintassi
approssimativa, (14) ora come tassista schiettamente dialettofono (15)
(Raffaelli 1992: 94).
Tra il 1940 e il 1945, in concomitanza con l'incremento di
certa xenofobia, si sviluppa anche un netto rifiuto nei confronti delle
parlate locali che vengono immediatamente abolite in tutti gli ambiti
culturali e di intrattenimento, cinema compreso. A poco a poco pero,
soprattutto nel cuore della guerra, visto il crescente gradimento del
pubblico per le manifestazioni aderenti alla realta spicciola, il cinema
riesce a sottrarsi alle condanne ufficiali: battute in un dialetto
sempre meno italianizzato entrano non soltanto nel genere della
commedia, (16) ma anche nei film drammatici. (17)
Secondo Raffaelli pero, nonostante questa presenza piu ampia e
frequente di innesti dialettali, il dialetto continua a ricoprire una
funzione esclusivamente simbolica e non realistica (Raffaelli 1992:
101).
Dopo il 1945 la produzione dialettale sembra essere la piu ricca
sia dal punto di vista quantitativo sia da quello qualitativo, sebbene
si possa notare una spiccata tendenza ad attenuare le peculiarita
dialettali piu strette ricorrendo ora alla stereotipizzazione ora
all'alterazione espressiva.
Con l'avvento del Neorealismo (18) il dialetto arriva ad
assumere, per la prima volta nella storia del cinema italiano, una
posizione non piu subalterna alla lingua italiana, ma di parita
assoluta. Come rimarca Rossi (Rossi 2006: 189-190), e a partire dal
Neorealismo che il cinema smette i panni dell'insegnante di lingua
(li cedera, a partire dai 1954, alla televisione, almeno fino agli anni
Settanta-Ottanta), per assumere il ruolo di <<specchio delle
lingue>>. Ma sara uno specchio via via sempre piu semplificante (a
causa della tendenza alla stereotipizzazione insita nel mezzo cinematografico stesso) o deformante (nelle rare soluzioni
espressionistiche del nostro cinema, [...]).
Tale epoca puo essere suddivisa, viste le diverse manifestazioni
linguistiche dialettali che la caratterizzano, in ulteriori tre
sottocategorie. Utilizzando la terminologia di Raffaelli, si puo parlare
di dialettalita imitativa, dialettalita stereotipata e infine di
dialettalita espressiva e riflessa.
Come gia accennato piu sopra, nel secondo dopoguerra si sviluppa la
corrente cinematografica del Neorealismo, i cui film (19) sono
caratterizzati dalla rappresentazione di vicende autentiche ed attuali
dell'Italia. A tale scelta tematica non puo non corrispondere la
scelta poetica di perseguire l'autenticita anche nella
realizzazione verbale parlata di una situazione linguistica che si
presenta composita, plurilingue e pluridialettale. Il dialetto non e
pero una scoperta esclusiva: gia nel ventennio fascista, nonostante le
direttive puriste, il dialetto era entrato nel linguaggio
cinematografico, ma in questo secondo dopoguerra si assiste a una
maggiore mobilita geografica del dialetti. Per il dialetto riprodotto
nelle pellicole di questi anni, caratterizzate da un mimetismo quasi
integrale, si parla di dialettalita imitativa.
In realta Roma, citta aperta, film inaugurale di questo movimento,
ambientato nella Roma del 1943-1944, occupata dai nazifascisti e in cui
la lotta, le sofferenze, i sacrifici della gente sono raccontati
attraverso le vicende di una popolana (Anna Magnani), di un sacerdote e
di un ingegnere comunista, e il meno connottato in senso dialettale e
sembra rispondere a intenti piu simbolici che realistici.
Pur notando le coloriture romane di Anna Magnani (20) e di qualche
altra figura di contorno, Rossi (Rossi 2006: 191) sottolinea che in
realta i dialoghi del film sono nel complesso molto formali e il lessico
e estremamente ricercato e spesso ridondante. Il critico (Rossi 2006:
192) si dichiara d'accordo con Sergio Raffaelli nel sostenere che
fenomeno caratteristico del pochi ma incomparabili classici del
neorealismo non e la dialettalita a se stante, bensi l'adozione
mimetica dell'intero repertorio di codici e di registri in uso.
Paisa (21) invece, che ritrae sei episodi della Seconda guerra
mondiale in Italia seguendo l'avanzata degli alleati
anglo-americani dallo sbarco in Sicilia (22) alla lotta partigiana sul
delta del Po, (23) passando per Napoli, (24) Roma, (25) Firenze (26) e
per un convento dell'Appennino toscoemiliano, (27) presenta al
pubblico un profilo vario d'un Italia linguistica per lo piu
dialettofona. Del resto Rossi nota che gli ambienti militari sono sempre
i piu consoni alla riproduzione delle varieta dialettali e, in generale,
del plurilinguismo (Rossi 2006: 177).
Il critico pero rileva che una lingua ancora piu realistica la si
puo sentire in Sciuscia (28) che rappresenta quasi senza censura il
mondo linguistico degli adolescenti emarginati, ricorrendo persino al
turpiloquio (29) e a forme di dialetto (30) arcaiche e non usurate
(Rossi 2006: 196). Trai vari dialetti centro-meridionali del giovani
detenuti predomina il romanesco, in contrapposizione psicologica e
sociale con l'italiano degli adulti.
Tratto dall'omonimo romanzo di Luigi Bartolini, il film Ladri
di biciclette, il cui nucleo e ambientato in una sola giornata che si
svolge da un capo all'altro della Roma del dopoguerra, deve anche
al dialoghi, (31) il merito di essere diventato uno del capolavori del
Neorealismo. In essi un romanesco di livello medio-basso e contrapposto talvolta all'italiano di tono elevato del ricchi. Le
caratteristiche fonetiche, morfosintattiche e lessicali del romanesco
sono pienamente rispettate, nonostante gli scambi comunicativi non siano
collocabili al gradini piu bassi della scala diastratica (il turpiloquio
infatti e quasi assente).
Una tra le pochissime pellicole in cui il dialetto, caratterizzato
nel caso specifico da un massimo di realismo sul piano fonetico e
morfologico, e stato integralmente riprodotto nei suoi registri piu
lontani da ogni forma di italianizzazione e La terra trema, 1948, di
Luchino Visconti. In seguito al confronto con la lingua di due del
precedenti film citati, Parigi evidenzia che il siciliano in presa
diretta e incomprensibile di Visconti non intrattiene alcun legame con
il romanesco doppiato di Ladri di biciclette o con il plurilinguismo
moderno e dinamico di Paisa. Tuttavia osserva anche che nel realismo
trasfigurato de La terra trema, la funzione del dialetto e piu
ideologica ed estetica che mimetica, e piu espressiva che documentaria,
piu espressionistica che naturalistica, smentendo <<qualsiasi idea
di neorealistica improvvisazione o di supposta spontaneita
popolare>> (Parigi 141-164 cit. in Rossi 1999: 63).
Protagonista unico di Umberto D., pellicola convenzionalmente
ritenuta conclusiva della corrente neorealistica, e il glottologo Carlo
Battisti, mite e silenzioso pensionato, ridotto a non essere piu
economicamente in grado di sopravvivere, che rifiuta la tentazione dei
suicidio per non abbandonare il proprio cane. Nel film parlano molto di
piu i volti, le strade, le cose che non le battute del dialoghi.
Nonostante cio Raffaelli, in seguito al suo studio su La lingua di
Umberto D., riferisce che il testo del film propone uno spaccato
verifiero del composito repertorio delle risorse comunicative verbali
d'una Roma etnicamente e socialmente eterogenea (Raffaelli
1993:29-48 cit. in Rossi 2006: 211). Si va dall'italiano formale e
senz'accento all'italiano regionale romano e all'italiano
dell'uso medio, all'italiano standard con venature fonetiche
settentrionali del protagonista, al dialetti centro meridionali, in
primis quello della domestica abruzzese di Umberto, Maria, mai,
peraltro, rappresentati nelle loro forme piu distanti
dall'italiano.
Gli anni compresi tra il 1952 e il 1962 sono invece caratterizzati
da una dialettalita stereotipata, quella che caratterizza i film, (32)
tematicamente 'leggeri', appartenenti alle correnti del
Neorealismo rosa e della Commedia ali'italiana, in cui i dialetti
sono usati prevalentemente in chiave caricaturale, per caratterizzare un
ambiente, un livello sociale, un tipo, un personaggio, un mestiere, e in
cui prevalgono trovate dialettali ormai usurate. Tali film abbandonano
il criterio della mimesi dialettale, tipico del neorealismo, e adattano,
in modo inevitabilmente approssimativo, il codice originario alle
esigenze della comprensibilita e della gradevolezza, fornendo cosi
realizzazioni posticce e modulate secondo quella che il critico
Raffaelli definisce un'informalita falsamente spontanea (Raffaelli
1992: 120). Dal canto suo Rossi le segnala come pellicole nelle quali
nessun personaggio parla una lingua autentica o almeno prevedibile (cioe
socialmente e geograficamente verosimile). Si va da un perfetto
doppiaggese, a ibridi romano-fiorentineggianti, a un italiano regionale
lievemente spostato, foneticamente, ora verso il romanesco, ora verso il
napoletano (Rossi 1999: 69). Ma, mentre Due soldi di speranza, con cui
si fa convenzionalmente iniziare la corrente del Neorealismo rosa, e
ancora linguisticamente realistico, esibendo un napoletano assolutamente
marcato e credibfle, sono Pane amore e fantasia e Poveri, ma belli i due
risultati piu significativi della suddetta tendenza cinematografica.
Pane amore e fantasia, 1953, di Luigi Comencini, in cui, in un
paesino dell'Italia centrale, il nuovo maresciallo del Carabinieri
mette gli occhi su Maria, una povera orfana innamorata di un carabiniere
veneto, che fa la corte alla levatrice Anna, presenta, accanto al
romanesco, al ciociaro, al veneto e all'italiano standard, un
napoletano patinato e convenzionale e sembra siano d'obbligo le
frasi fatte, le battute crasse, l'arguzia. (33)
Anche Poveri, ma belli di Dino Risi e assolutamente distante da
ogni parlato-parlato e da ogni plausibile varieta regionale: vi si parla
una lingua ibrida, assolutamente antirealistica. (34) Di questo celebre
film Fabio Rossi ha trascritto integralmente i dialoghi (Rossi 2006:
407-488) e ha osservato l'originalita della soluzione linguistica:
una sorta di romanesco annacquato e innaturalmente riprodotto dai
doppiatori, che diventa una lingua franca buona un po' per tutti
gli usi (per lo piu comici) del cinema italiano.
Viene ridotto ad un'inflessione piu o meno marcata anche il
siciliano della commedia di Pietro Germi, per mettere in ridicolo le
attitudini e i tabu del personaggi, assumendo, dunque, valore simbolico:
Masoni e Vecchi sottolineano come da Divorzio all'italiana in
avanti lo stereotipo dell'ometto in coppola, baffi e lupara funge
da scarico esorcistico per le miserie (sessuali in primis) di tutta la
societa (Masoni--Vecchi 75-86 cit. in Rossi 2006: 356).
Si tratta di una linea caratterizzata dall'innaturalismo e
dall'ibridismo linguistico intersecata con la tendenza a sfruttare
una certa corrispondenza tra dialetto e mestiere, carattere o attore.
Rossi sostiene che tali stereotipi sono in parte frutto del luogo comune
e del pregiudizio, in parte mediati dal teatro della tradizione (dalla
commedia cinquecentesca a quella goldoniana e all'opera buffa) e
dalla Commedia dell'Arte: il sessuomane e il poliziotto hanno
l'accento siciliano, l'ingenuo quello bergamasco, veneto o
ciociaro, il cocciuto il sardo, l'arrivista senza scrupoli il
milanese, la domestica il veneto o l'abruzzese, l'imbroglione
il napoletano, la prostituta il bolognese (Rossi 2006: 346).
Nel ventennio seguente, dal 1963 alla crisi degli anni Ottanta, la
storia del dialetto filmico presenta caratteristiche, secondo Raffaelli,
inconsuete (Raffaelli 1992: 127): a fronte di un'Italia coinvolta
in un euforico processo di industrializzazione e caratterizzata da
continui spostamenti dalla campagna alla citta e dal Sud al Nord, con
conseguente aumento dell'italofonia a spese soprattutto del
dialetti rurali, il cinema, proprio in questa fase di regressione del
dialetti, accoglie fenomeni di matrice dialettale in grado di estensione
via via crescenti. Parlando di dialettalita espressiva e riflessa,
Raffaelli (1992: 128) ha voluto contraddistinguere tre orientamenti
tipici:
1. l'utilizzazione mimetica di varieta di italiano di uso
locale;
2. lo sfruttamento espressivo costante di peculiarita dialettali di
ogni parte della Penisola;
3. il lancio 'a corso forzoso' di dialetti conservativi.
In verita la prima tendenza caratteristica di questo periodo e
pressoche sopraffatta dalle altre due: il cinema infatti, dai primi anni
Sessanta in avanti, interessato quasi esclusivamente alla vita e al
problemi della citta, e venuto sempre meno a contatto con la
dialettofonia e ha abbandonato un po' alla volta i suoi iniziali
intenti mimetici.
Quanto alla dialettalita espressiva, le modalita di ricorso ad essa
sono, sempre a detta del critico (Raffaelli 1992: 134-142), abbastanza
varie.
a) Si puo verificare l'inserimento piu o meno esteso di brani
in dialetto in un contesto italiano che, chiudendoli e quasi
comprimendoli in cornice, sembra attenuare e quasi annullare la loro
funzione comunicativa. A questo proposito si citano, a titolo di
esempio, 8 e 1/2, 1963, I clowns, 1971, Amarcord, 1973, di Federico
Fellini, tutti film nei quali il romagnolo stretto e conservativo assume
connotazioni melodico-esoteriche; Il Casanova, 1977, sempre di Federico
Fellini, in cui il regista si e giovato anche dell'apporto
linguisfico di Andrea Zanzotto.
b) Ci si puo trovare dinnanzi a quel settore di film con gradazioni
che vanno dali'italiano regionale al dialetto piu o meno
italianizzato e persino al dialetto alterato. E il caso di Sedotta e
abbandonata, 1964, di Pietro Germi, d'ambiente siciliano, in cui la
deformazione caricaturale del dialoghi e condotta
all'esasperazione.
c) Altre forme di dialettalita espressiva si possono riscontrare in
quei film di Lina Wertmuller, in cui la regista ha utilizzato i tratti
fonetici delle parlate meridionali, talora mescolate e deformate fino al
limite della comprensibilita. Si ricordano Mimt metallurgico ferito
nell'onore del 1972; Film d'amore e d'anarchia del 1973,
in cui, come sottolinea Rossi (2002: 1044), la rapida successione di
parlate (35) esagerate e urlate costituisce un efficace corrispettivo
acustico ai primi piani espressionisticamente deformati e ostentati nei
loro tratti piu duri; Tutto a posto e niente in ordine del 1974,
ambientato in una babelica 'casa ospitale' milanese (ormai al
limite dell'autonomia del significante); Fatto di sangue fra due
uomini per causa di una vedova del 1978, ritirato, secondo la stampa del
tempo, perche i dialoghi riuscivano incomprensibili perfino agli stessi
spettatori meridionali.
d) Ci si puo avvalere di un linguaggio nato per accostamento audace
di codici e di registri diversi: e cio che accade per la categoria dei
film che raccontano storie evocative di epoche passate quali H Vangelo
secondo Matteo, 1964, di Pier Paolo Pasolini, caratterizzato dai suoi
impasti di dialetti e di varieta dell'italiano; Edipo re, 1968, e
Medea, 1969, ancora di Pier Paolo Pasolini, nei quali
l'espressivita verbale risulta esasperata da elementi dedotti dal
patrimonio di culture arcaiche; Salome, 1972, di Carmelo Bene, in cui la
mescolanza di lingue e dialetti lontani acquista un risalto particolare
nella molteplicita barocca delle immagini.
e) Infine e emblematico il filone popolaresco degli anni 1971-1973,
pseudo-trecentesco (anche nella lingua) e triviale, decameronico,
caratterizzato da un plurilinguismo arcaizzante, dominato da fenomeni
dialettali soprattutto toscani e romaneschi di maniera e di pessimo
gusto. Come unico esempio tra tanti si cita Masuccio Salernitano, 1972,
di Sergio Amadio, creato da L'armata Brancaleone, 1966, e
Brancaleone alle crociate, 1970 di Mario Monicelli, i due film
picareschi, ambientati nell'Italia medievale, in cui la lingua e
una mescolanza maccheronica di italiano aulico, latinismi, francesismi,
tedeschismi e dialettismi di provenienza varia.
L'ultima tendenza, vale a dire il ricorso, di solito
attendibile, al dialetti in estinzione e talora ripuliti dane
incrostazioni create dall'italofonia invadente, si e imposta verso
il 1980. In tale nuovo orientamento dialettale Raffaelli individua due
ulteriori indirizzi:
a) un primo, che si manifesta in film ambientati
nell'attualita, contraddistinto da un dialetto con forti
connotazioni espressive. Si citano, a titolo di esempio, per il
romanesco, Ecce Bombo, 1978, di Nanni Moretti, e Un sacco bello, 1980,
di Carlo Verdone; per il lombardo Ratataplan, 1979, di Maurizio
Nichetti; per il napoletano Ricomincio da tre, 1981, di Massimo Troisi;
infine per il toscano Tu mi turbi, 1983, di Roberto Benigni.
b) Un secondo rappresentato da due esempi di parlate poco note: il
bergamasco arcaico in L'albero degli zoccoli, 1978, di Ermanno Olmi
(36) e il friulano in Maria Zef, 1981. Nel primo caso il regista, per
rievocare liricamente il mondo contadino della pianura bergamasca sullo
scorcio dell'Ottocento, ha adottato il dialetto locale in uso tra
gli anziani, costringendo gli interpreti giovani e i bambini ad
impararlo come una lingua morta. Nel secondo il dialetto viene invece
utilizzato da Vittorio Cottafavi, il quale ha ammesso (Cottafavi
1985:39-44 cit. in Rossi 2006: 388) che soltanto combinando vari
dialetti friulani e riuscito atirar fuori una lingua che potesse essere
compresa da tutti i friulani, per una vicenda di degradazione morale e
sociale fra le montagne della Carnia d'inizio secolo.
Se dunque il 1945, data fondamentale nella storia italiana, indica
l'inizio di una nuova fase cinematografica caratterizzata da una
maggiore naturalezza del dialogo e una superiore aderenza alla realta
linguistica italiana, dagli anni Ottanta al nostri giorni il cinema
italiano vive una profonda crisi di spettatori e di idee: si assiste al
dilagare di film comici (37) che portano sullo schermo un'Italia
superficiale, arrivista e volgare. I dialetti, pur presenti nelle
produzioni cinematografiche, appaiono sempre piu normalizzati e
utilizzati in chiave caricaturale con cliche ormai usurati: i personaggi
del film non tradiscono mai alcuna cadenza dialettale, oppure si servono
di qualche stereotipo in dialetto senza mai distanziarsi troppo dall'italiano, tendenza che ricalca una contrazione dell'uso
del dialetto anche nella societa.
Si discosta notevolmente da questa tendenza generalizzante
l'ultima opera cinematografica di Giuseppe Tornatore, Baaria, (38)
uscita nelle sale il 25 settembre 2009. I1 regista, che viene da
Bagheria, racconta, in lingua siciliana autentica, di zappe e martelli
contro mafia e agrari. Il film, parlato appunto in dialetto siciliano
con sottotitoli italiani (39) (come La terra trema di Visconti), narra
la storia di una famiglia siciliana, quella del regista, dagli anni
Trenta sino al nostri giorni e del mutamento della cittadina, del
costumi, del modo di vivere locale, siciliano, italiano: un'epopea
familiare e di paese che vuole essere lente e metafora dell'Italia
dalla seconda guerra mondiale in poi. Questo autoritratto, a cui sia il
linguaggio che i tantissimi e variegati personaggi conferiscono il
sapore di una realta vitale e frenetica, "inizia con un bambino che
corre velocissimo lungo una strada di terra tra vecchie case percorse da
carretti tirati da muli; 150 minuti dopo si chiude con un bambino che
corre velocissimo trai fitti palazzi della speculazione, nella stessa
strada ormai trafficata da un muro di automobili e moto. [...] La grande
forza del film [...] e che la folla di attori che lo popolano parla in
dialetto baarioto, con quelle grida gutturali che ci ricordano una
regione, una nazione che avevamo dimenticato in tutta la sua
sottomissione primitiva, la sua superstiziosa rassegnazione, il suo
abbandono. In italiano il film [...] sara piu comprensibile, ma
certamente meno commovente e ipnotizzante, perche i suoni di quella
lingua quasi selvaggia aderiscono completamente alle persone e ne
esaltano le storie" (Aspesi 2009).
"La prima immagine di Baaria e una strada polverosa dove dei
bambini giocano con la strummula (40) e degli anziani a carte. Uno dei
giocatori di carte promette al piccolo Peppino venti lire in regalo se
va a comprargli le sigarette e torna prima che la saliva dello sputo
fatto per terra si asciughi. Peppino vola, ma l'uomo lo umilia
negandogli con prepotenza le monetine promesse. Da qui si sviluppa la
storia di un paese attraverso due protagonisti principali, Peppino e
Mannina, che il film d consegua bambini, fa innamorare, sposare, avere
quattro figli, passare da vittime a protagonisti di una lotta per la
giustizia incarnata nella nascente forza del Partito comunista. [...] I1
dialetto siciliano, bagherese stretto, e la lingua naturale di questo
film anche per il grande interesse antropologico che riveste la
ricostruzione di ambienti e situazioni, l'attenzione per la cultura
popolare" (Lombardo 2009). Solo il dialetto siciliano puo "far
vivere e respirare questa epopea che abbraccia quasi un secolo di storia
dai punto di vista locale e universale, rievocare luoghi e sentimenti,
senza tradire il dettaglio, ma anche senza rinunciare alla magia capace
d'attraversare il tempo [...]" (Caprara 2009).
BIBLIOGRAFIA
Aspesi, Natalia. Il giorno di Tornatore: Bagheria come
l'Italia dall'innocenza alle bustarelle. La Repubblica, 3
settembre 2009.
Cappellato, Federica. La provincia veneta nel cinema italiano. Dai
miracolo economico agli anni Ottanta. Padova: Litografia "La
Photograph", 2001.
Caprara, Valerio. Kolossal deli'anima che sfida il tempo
diventando poesia. Il Mattino, 3 settembre 2009.
Lombardo, Maria. <<Baaria>> strega Venezia. La Sicilia,
3 settembre 2009.
Presa, Giovanni. "Dai dialetto alla lingua nell'originale
televisivo I recuperanti." Dal dialetto alla lingua, Atti del IX
Convegno per gli studi dialettali italiani. Lecce, 28 settembre-1
ottobre 1972. Pisa: Pacini, 1977: 501-516.
Raffaelli, Sergio. "Il dialetto nel cinema in Italia
(1896-1983)." Rivista italiana di dialettologia 7 (1983): 13-96.
Raffaelli, Sergio. La lingua filmata. Didascalie e dialoghi nel
cinema italiano. Firenze: Le Lettere, 1992.
Raffaelli, Sergio. "La parola e la lingua". Brunetta,
Gian Piero (a cura di). Storia del cinema mondiale, V, Teorie,
strumenti, memorie. Torino: Einaudi, 2001: 855-907.
Rossi, Fabio. Le parole dello schermo. Analisi linguistica del
parlato di sei film dal 1948 a11957. Roma: Bulzoni, 1999.
Rossi, Fabio. "Dialetto e cinema". Cortelazzo, Manlio (a
cura di). I dialetti italiani. Storia struttura uso. Torino: Utet, 2002:
1035-1047.
Rossi, Fabio. Il linguaggio cinematografico. Roma: Aracne, 2006.
CAMILLA DE ROSSI
Universita di Venezia
NOTE
(1) Firenze, Milano, Napoli, Roma, Venezia, etc.
(2) Fenesta che lucive e Sott' 'o canciello, 1914; A
Marechiare 'nce sta 'na fenesta e Anema nova, 1915.
(3) La class di asen e El duell del sur Panera.
(4) Le marghere 'd Cavouret (dalla commedia omoniraa
dialettale di C. Beccari) e 'L rimedi par le done (dall'opera
omonima di Fulberto Alarni), 1914.
(5) Si citano, tra gli altri, Nerone, 1930, primo film sonoro di
Alessandro Blasetti; Terra madre, 1931, sempre di A. Blasetti; Il medico per forza e Cortile, 1931, di Carlo Campogalliani; Figaro e la sua gran
giornata, 1931, di Mario Camerini; Gli uomini, che mascalzoni ..., 1932,
ancora di M. Camerini; La cantante dell'opera, 1932, di Nunzio
Malasomma; La tavola del poveri, 1932, di A. Blasetti; Acciaio, 1933, di
Walter Ruttmann; 1860, 1934, di A. Blasetti.
(6) Di Mario C, amerini, 1931.
(7) Di Nunzio Malasomma, 1932.
(8) I1 film fu girato in presa diretta e successivamente
sincronizzato e parzialmente italianizzato.
(9) Cito da Rossi 2006: 165: <<ora tu te ne vai in paise co
padre Costanzo a pigghiari istruzioni precisi>>; [...]
<<figghiu meu!>> [...].
(10) Id.: 165: <<anche te tu vieni a Genova?>>;
<<oh/bisognava vvedere a Firenze l'accoglienza he gl'e
stata fatta al nostro re!>>; [...].
(11) Id.: 165: <<'nduma>> per
'andiamo';<<suta>> per 'sotto'.
(12) Id.: 165: <<No sta pian[??]er/mama/ghe xe i compagni
qua!>>. "Con queste parole il volontario veneto, che si
accinge a partire per l'impresa del Mille, cerca di rassicurare la
madre che lo ha accompagnato fino a Quarto" (Cfr. Cappellato 141).
(13) Si citano, tra gli altri, II cappello a tre punte, 1935, di
Mario Camerini, dove la napoletanita linguistica si limita a certa
tipica intonazione dell'italiano e Il grande appello, 1936, di
Mario Camerini, in cui trabocca il genovese.
(14) <<Perche se io avevo a disposizione del soldi, ora non
sarei nei guai>>, con Fuso dell'indicativo al posto del
congiuntivo nella subordinata ipotetica.
(15) <<Beh, famo trentacinque, va!>>
(16) Si veda, a titolo di esempio, Ore 9: lezione di chimica, 1941,
di Mario Mattoli, in cui l'industriale veneto Campolmi in visita
alla figlia, collegiale poco studiosa (Alida Valli), rivolgendosi alla
Direttrice del collegio sentenzia: <<Eh, si capisce, povera fia;
xe l'eta ... Mejo, mejo! Piu classi se ripete e piu se
impara!>>.
(17) Valdostano in Luce nelle tenebre, 1941, di Mario Mattoli;
lombardo in Piccolo mondo antico, 1941, e in Malombra, 1942, entrambi di
Mario Soldati, tratti dai romanzi di Antonio Fogazzaro.
(18) Per la definizione si veda Rossi 2006: 644-645:
"NEOREALISMO.Corrente cinematografica dai confini cronologici e
tematici quantomai sfumati, nella quale la maggior parte degli studiosi
tende a collocare la produzione di una decina di film (da Roma citta
aperta, 1945, di Roberto Rossellini, a Umberto D., 1952, di Vittorio De
Sica) girati nel secondo dopoguerra e caratterizzati dai seguenti motivi
conduttori: argomenti connessi con il conflitto bellico appena trascorso
e soprattutto con la Resistenza, [...] estremo realismo, sia nella
recitazione [...], sia nell'ambientazione scenica [...]; preferenza
accordata all'elemento corale piuttosto che al protagonismo e al
divismo. [...]."
(19) I film che appartengono in senso stretto a tale corrente sono
Roma, citta aperta, 1945, film inaugurale, e Paisa, 1946, di Roberto
Rossellini; Sciuscia, 1946, Ladri di biciclette, 1948, di Vittorio De
Sica; La terra trema, 1948, di Luchino Visconti, e Umberto D., 1952, di
Vittorio De Sica.
(20) <<Ma va' a mori ammazzata/va'!>>;
<<A voi che ve ne frega?>>.
(21) Raffaelii ricorda che il termine che compare nel titolo
comincia a circolare verso il 1944 grazie al soldati italo-americani
suggestionati forse da paisano, un ispanismo vitale in certe aree degli
Stati Uniti dalla prima meta del XIX secolo. Nelio specifico il tratto
dialettale meridionale e palesato dall'apocope (Raffaelli 1992:
107).
(22) <<Me fratre e me patre sono fora da quattro
juorne//Du' vote ca tento di lassare 'a sta chiesa [...]//
hanno pauta di mannarammici sola// Vi cj accombagno//Canoscio bene
'a strada//Vegno co voe>> (Rossi 2006: 194).
(23) PARTIGIANO: <<Cosa ne faran?>>; PARTIGIANO :
<<Ine copara>>; PARTI GIANO: <<E par cosa Cigolani
l'a gia copa e noaltri no?>>; PARTIGIANO: <<I ne copara
anca noaltri>>; [...] PARTIGIANO: <<M'ho pissa adosso
come un putin!>> (Cappellato: 58-59).
(24) <<Chesta e 'a chiave 'e casa// 'E ccase
songhe aperte/ ma 'a chiave 'on serve chiu//Ha' cantate
buone/ma 'un m'e piaciute proprie>> (Rossi 2006: 194).
(25) <<Che voi? Che vai cercando? E tutta la sera che
'sta brutta disgraziata sta a guarda da 'sta parte>>
(Rossi 2006: 194).
(26) <<Ma i' cche la vole he si sappia/noi? Co tutto
quello h'e successo/e s'ha altro da pensare!>> (Rossi
2006: 194).
(27) <<E she mia moglie m'aveshe dato mente a me/e i
maialini li aveshimo meshi in te cunventi/i tudeshchi non ce li
portavano mica via!>> (Rossi 2006: 194).
(28) Il titolo, caratteristica parola di guerra adottata a Roma, e
una deformazione dialettale dell'inglese shoe-shine
'lustrascarpe': due giovanissimi lustrascarpe napoletani
sognano di comperare un cavallo bianco tutto per loro e, per averlo,
s'invischiano in un 'lavoretto' per adulti che li porta
in un carcere minorile.
(29) <<A fijo de na mignotta!>>; <<a
mignottoni!>>; <<'Sto morto de fame!>>.
(30) Dichi per 'dici'.
(31) Si citano alcune battute dalla scena della messa di
beneficienza in cui i ricchi si dimostrano insensibili alle richieste di
Antonio (Lamberto Maggiorani). DONNA 1: <<Li fermi!>>; UOMO
1: <<Ehi/dove andate?! Non si puo//>>; ANTONIO: <<
<Io sto co questo qua>//Vado a pija la minestra//>>; [...]
ANTONIO: <<Signori/e venuto un omo/qui?>>; DONNA 2:
<<No/non e venuto nessuno// E poi non e ora [...]>>; UOMO 1:
<<Ma insomma/si puo sapere che cosa volete?>>; ANTONIO:
<<Voglio usci!>>; [...] UOMO 1: <<Ehi! Volete andar
via?! Non e questo/il contegno da tenersi in chiesa! Venite via/venite
via! Fermatevi!>>; ANTONIO: <<L'ho da trova//
[...]>>; UOMO 2: <<Siete venuti per la messa/o per fare
chiasso?! Ma cosa volete/ insomma?!>>; ANTONIO: <<Io sto
cercando un vecchio ch'era qui//Je l'ho detto!>>; UOMO
1: <<Dopo!>>; ANTONIO: <<Uho da trova/io!>>;
[...] (Rossi 2006: 205).
(32) Si citano, tra gli altri, Due soldi di speranza, 1952, di
Renato Castellani, Pane amore e fantasia, 1953, di Luigi Comencini, Un
americano a Roma, 1954, di Steno, Poveri, ma belli, 1956, e Venezia la
luna e tu, 1958, di Dino Risi, I soliti ignoti, 1958, di Mario
Monicelli, Divorzio ali'italiana, 1961, di Pietro Germi, Il
sorpasso, 1962, di Dino Risi.
(33) <<Che ci mangi?>>; <<Pane, marescia>>;
<<E che ci metti dentro?>>; <<Fantasia,
marescia>>, dice per esempio un duetto villereccio fra il
maresciallo Vittorio De Sica e un giulivo disoccupato (Raffaelli 1992:
120).
(34) Un esempio di antirealismo, come spiega in modo eccellente
Rossi, si puo trarre dalle ultime battute della scena di apertura del
film in cui il tramviere Alvaro (l'attore Memmo Carotenuto) rincasa
dopo il turno di notte e discute con la padrona di casa e con suo figlio
Salvatore, con cui condivide il letto.
ALVARO: <<Hai preso tutto?>>; SALVATORE: <<Mo ti
fai 'sta mesata di sonno! Ti saluto//>>; [...] SALVATORE:
<<Lo so io//Aho/se ti ricapita nel letto/non gli far male/ al
grillo// Che quello e il grillo di Iolanda//>>. Quando mal un
romano 'de Roma', pronuncerebbe 'ti',
'di', 'gli' e 'far' in luogo di
'te', 'de', 'je' e 'fa'? (Rossi
2006: 223-225).
(35) Lombardo, romanesco, emiliano, napoletano, siciliano,
piemontese, toscano, etc.
(36) Come nota sempre Raffaelli, questa di Olmi non e l'unica
utilizzazione del dialetto (piu o meno integralmente riprodotto): si
veda in particolare il film per la televisione I recuperanti, 1969, in
italiano regionale veneto (cfr. Presa).
(37) Profeti di questo nuovo cinema comico sono i fratelli Carlo
(alia regia) ed Enrico (alla sceneggiatura) Vanzina.
(38) Bagheria, centro agricolo in provincia di Palermo, e il luogo
natale di Tornatore; il toponimo viene dall'arabo Babel gherid
'Porta del vento'. La citta e stata campo di battaglia di
oltre un secolo di lotte per l'emancipazione sociale dei braccianti
senza terra.
(39) Il film, proiettato in modo capillare nelle sale della
penisola, viene mostrato in due edizioni: la siciliana, per gli
spettatori al di la dello stretto di Messina, l'italianizzata per
quelli dei continente. Per l'estero e prevista l'edizione
originale con i sottotitoli.
(40) La trottola di legno con lo spago.