摘要:Ponendoci il problema dei rapporti fra Italo Calvino e il gioco, chiedendoci cioè che giocatore fosse Italo Calvino, non dobbiamo pensare a un eventuale Calvino scacchista, biscazziere o flipperista. A parte il fatto che non sono noti dettagli della sua biografia che possano autorizzare un simile punto di partenza, come invece capiterebbe con Tommaso Landolfi o Vladimir Nabokov, il punto non è pertinente, poiché stiamo parlando di quei giochi che intervengono nella scrittura. Vogliamo iscrivere il nome di Italo Calvino in una lista di "scrittori giocatori": una categoria che non prevede alcun trattino, alcuna virgola, alcuna disgiunzione, alcuna congiunzione fra una parola e l'altra. Un'illustrazione tanto nota da essere ormai ovvia è la versione dell' ouroboros data da Maurits Cornelis Escher. Non abbiamo più un serpente che si mangia la coda ma una mano che sta ultimando il disegno molto accurato del polsino da cui sbuca una seconda mano, che sta facendo lo stesso con il polsino della prima. Del resto la mossa di partire da una figura preliminare è tipica appunto di Calvino, nel cui gioco l'immaginazione visiva gioca un ruolo cospicuo. Le due mani che si disegnano l'un l'altra sono come due parole di cui non si capisce quale funga da sostantivo e quale da aggettivo: scrittori giocatori, scrittori in quanto giocatori e giocatori in quanto scrittori. Sia la letteratura che il gioco sono attività gratuite, ma lo sono in modo diverso. C'è per esempio una differenza di durata. Un proverbio italiano dice "Un bel gioco dura poco", e per quanto si tratti di un'affermazione contestabile esprime la sensazione che il piacere del gioco è connesso alla durata del gioco stesso. Quando diciamo che il gioco è "fine a se stesso" intendiamo "fine" come sinonimo di "scopo", ma può anche essere preso come sinonimo di "termine". Essendo un'attività separata il gioco finisce quando finisce, e il piacere che procura non si tramanderà. La letteratura invece produce testi che tramandano il proprio piacere, e il cui effetto non cessa con la fine della lettura. Il gioco non sembra fare cultura, se non in senso antropologico; la letteratura fa cultura in senso concettuale. A differenza della letteratura, il gioco non riproduce gli elementi fondamentali della condizione umana, ma li riporta a una radice simbolica primordiale - come accade con giochi come il nascondino o il giocare a prendersi. Infine non si può evitare di dire che la letteratura sembra indicare alla persona del lettore la strada di un avanzamento (chi legge "cresce", "matura"), mentre il gioco appare connesso con un tentativo di regressione. Possiamo dunque dire che - almeno per come sono socialmente riconosciuti - la scrittura è parte di una zona alta della cultura mentre il gioco è parte della zona bassa, anche (o proprio perché) la prima ha una funzione fondamentalmente essoterica e l'altro ha una funzione fondamentalmente esoterica. Nei confronti degli elementi della condizione umana, la prima li narra, il secondo li elude, scegliendo rispettivamente un atteggiamento rivelatorio ed enigmatico. La scrittura produce piacere per gli altri e il gioco produce piacere per sé. La scrittura pretenderebbe di far diventare saggi, il gioco di farci tornare bambini.