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文章基本信息

  • 标题:Une histoire d'eau. L'atlante delle emozioni di Jean-Luc Godard
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  • 作者:Francesca Pagani
  • 期刊名称:Elephant & Castle : Laboratorio dell'immaginario
  • 电子版ISSN:1826-6118
  • 出版年度:2010
  • 期号:1
  • 出版社:Università degli Studi di Bergamo
  • 摘要:

    Nel febbraio 1958 un’imponente inondazione colpisce la campagna parigina sommergendo, tra gli altri, i paesi di Yerres e di Villeneuve-Saint-Georges.[1] François Truffaut, immediatamente sensibile al fascino visivo esercitato dall’insolito paesaggio, decide di realizzare alcune riprese avvalendosi di due giovani attori, Caroline Dim e Jean-Claude Brialy. Poco soddisfatto dell’esperimento, Truffaut abbandona inizialmente l’idea di servirsi di questi materiali, sino a che Jean-Luc Godard ottiene di poterli liberamente montare, corredandoli di un sonoro di sua ideazione. Il cortometraggio che ne scaturisce è un emblematico “collage” in cui Godard si compiace di dar voce al proprio immaginario reinventando lo sguardo di Truffaut: la sua sceneggiatura elabora i fotogrammi esistenti e li articola in una frenetica narrazione che intreccia parola e immagine grazie a un elegante esercizio incentrato sulla digressione. Il soggetto del cortometraggio, l’incontro casuale tra una ragazza e un giovane uomo e il loro viaggio in automobile da Villeneuve-Saint-Georges a Parigi, si sviluppa così, per opera di Godard, attraverso percorsi resi sinuosi dalle inondazioni e dalle schermaglie amorose dei due protagonisti e trova i suoi snodi nel susseguirsi di calembours e citazioni – talora esplicite, talora criptiche – dall’esito affascinante e surreale. Pur non riferendosi esplicitamente a Une histoire d’eau, Godard ha recentemente messo in luce come tale ricorso alla citazione abbia anticipato certe forme del linguaggio cinematografico contemporaneo: «[…] quanto si chiamava una volta collage […] ora è diventato il nutrimento, la materia principale: ogni cosa è citazione» (Godard 2007).Il titolo stesso del cortometraggio, Une histoire d’eau, rispecchia perfettamente sia la genesi sia l’elaborazione dell’opera, celebrando da un lato l’elemento acquatico quale ispiratore e principale protagonista del progetto di Truffaut, e evocando dall’altro l’omofona Une histoire d’O, romanzo di Dominique Aury, pubblicato sotto lo pseudonimo di Pauline Réage nel 1954: tale voluta e allusiva corrispondenza ben rappresenta il procedimento ludico e digressivo che caratterizza l’intervento di Godard in questo testo. In un’intervista rilasciata nel 2007, Godard esplicita secondo quale modalità egli intende far dialogare l’immagine e la parola, «elementi fraterni che costituiscono il linguaggio»: non occorre ricreare attraverso il testo verbale un doppio speculare di un’immagine, è invece più interessante, associarvi «un testo che produrrà una scintilla tra i due, che produrrà qualcosa d’altro».[2] Nel cortometraggio del 1958, a commento delle immagini, opportunamente ordinate e richiamate nelle didascalie della sceneggiatura, Godard elabora, coerentemente con quei principi, un testo che mette in scena un universo assai distante rispetto a quello suggerito dal piano visivo, eccezion fatta per alcune corrispondenze inattese, e per questo particolarmente efficaci, quali la voce femminile che dichiara : «qui apro una parentesi» e «qui la chiudo», nell’istante in cui scorrono le immagini che mostrano i protagonisti intenti ad aprire e chiudere la portiera dell’automobile. Nell’insieme del testo, lo scarto tra parola e immagine si presenta in modo costante, con la prima tesa ad evocare un universo eteroclito, simile sotto questo aspetto ai momenti musicali e ai silenzi che si sovrappongono e si alternano alle voci: da un vivace ritmo di percussioni passando per accenni dell’ultimo movimento del Concerto K299 per arpa, flauto e orchestra di Mozart. Le concatenazioni create dal testo verbale trovano il loro fil rouge nel flusso di pensiero del personaggio femminile – Lei – che si alterna, sempre facendo ricorso alla tecnica della voce fuori campo, ai dialoghi con Lui, la cui voce è quella di Godard stesso. Proprio la scelta di consegnare la garanzia del legame testuale all’attività del pensiero permette a Godard di creare innumerevoli divagazioni, non solo rispetto all’immagine visiva corrispondente, ma anche in rapporto agli elementi verbali e ai richiami logici del testo stesso. Il piano narrativo si trova infatti a essere particolarmente sensibile a una libera associazione di idee che ne influenza e ne guida lo svolgimento. La scintilla di questo produttivo cortocircuito risulta nascere, per lo più, dall’aspetto sonoro e dalle relazioni semantiche che la parola suggerisce.Così il termine «planche» (asse) conduce a definire «planche de salut» (zattera di salvezza) la passerella di assi posta come camminamento sopra l’acqua; «dégâts» (danni) evoca l’artista «Degas» e gli effetti «impressionants» (impressionanti) delle inondazioni, seppur foneticamente vicini, non sono «impressionistes» (impressionisti). Questa dura sfida per il traduttore attesta il gusto di Godard per la materia sonora, trattata giocosamente con evidente piacere. D’altra parte, proprio nella sequenza del cortometraggio incentrata sulla strategia di seduzione, Lui, al fine di ottenere un bacio, racconta a Lei delle barzellette il cui umorismo si basa sul calembour. L’attenzione per l’aspetto fonetico della lingua emerge anche nelle considerazioni relative a parole ormai desuete dalla sonorità dichiarata affascinante, quali «bath», «galette», «mirliflore», sostituite da altre giudicate estremamente «volgari». Neppure l’aspetto etimologico manca di essere doverosamente rimarcato, così la parola «inondation» rinvia a una considerazione sulla sua origine latina.[3] A questa dinamica non sfugge l’onomastica, che suscita costantemente delle brevi divagazioni, dall’esito talvolta paradossale. I nomi di Stalin e di Nicola II, ad esempio, se storicamente e ideologicamente contrapposti, acquistano una sintonia nella toponomastica parigina, dove, squisita caratteristica della città, una via dedicata al primo sfocia in un’altra che porta il nome dello zar: non semplice curiosità questa, ma argomento teso a dimostrare come in Francia sia possibile godere realmente della libertà. Se i due protagonisti di Une histoire d’eau non hanno un nome proprio e vengono chiamati, come detto, semplicemente Lei e Lui, altri personaggi possiedono appellativi non casuali, poiché in grado di creare evocazioni suggestive. Ecco quindi Bébert, che suggerisce una canzone parte della colonna sonora del film Fou d’amour (1943) di Paul Mesnier, con le tipiche atmosfere dei bistrot di Montmartre – ma anche, in ambito letterario, il gatto di Céline, nonché uno dei personaggi di Voyage au bout de la nuit e uno dei temibili banditi al servizio di Fantômas – e Léon, che nel suo costante connubio con «accordéon», conduce nuovamente ai caffè parigini dove la fisarmonica, nelle musettes e javas alla moda negli anni Trenta e Quaranta, è l’imprescindibile accompagnamento strumentale, celebrato anche nei testi delle canzoni assieme al suo esecutore, immancabilmente denominato Léon. Questo ritorna nella stessa canzone Bébert, come negli svariati testi interpretati dalla Fréhel, “chanteuse” celebre quanto la rivale Mistinguett, in cui Léon, “il grande”, o “il piccolo”, è “uno degli assi della fisarmonica” (Fréhel 1928). Per mezzo delle corrispondenze che la digressione favorisce, trovandovi al contempo nutrimento e coesione, il testo della sceneggiatura si apre alla musica, al cinema, alla letteratura, alle arti visive. Questi mondi sono celebrati in un fitto intreccio di citazioni che disegnano una sorta di carte de tendre del Godard di quegli anni, in cui si profilano gli autori da lui preferiti, i compagni di viaggio prediletti. L’universo letterario risulta permeare in modo significativo questo paesaggio ideale, proponendo un nutrito corteo di figure, celeberrime e meno note, antiche e contemporanee, colte e popolari. Le opere di Balzac e Baudelaire – in particolare La Duchesse de Langeais (1834) e “L’invitation au voyage” da Les fleurs du mal (1857) si iscrivono nel testo in due dei momenti più intimi della narrazione, in cui il personaggio femminile si perde nei propri pensieri e nella contemplazione del paesaggio, inondato d’acqua e di sole. Baudelaire è implicitamente presente anche nel richiamo alle Avventure di Arthur Gordon Pym (1838) di Edgar Allan Poe, dal momento che fu il primo a tradurle in francese, nel 1858. Restando in ambito inglese, Godard esplicita la sua ammirazione per Chandler trasformando il congedo della ragazza dai suoi concittadini in un’allusione al titolo del romanzo Farewell, My Lovely. Se la letteratura inglese entra nel testo per mezzo di riferimenti puntuali a opere specifiche, fittissime sono le allusioni ad altri contesti culturali: Goethe rappresenta il volto amato della Germania, mentre Valéry Larbaud, Paul Éluard, Jean Giraudoux formano una triade paradigmatica di una letteratura che sa prendersi alla leggera. Leggera come da molti è ritenuta la letteratura popolare che abita questa geografia alla stessa stregua degli autori più colti: Les Pieds nickelés, fumetto creato da Louis Forton nel 1908, è associato a una graziosa eleganza, mentre lo scrittore Antoine Blondin (1922-1991), in quegli anni grande provocatore vicino all’estrema destra, è ricordato nel lieve dettaglio del suo caratteristico ebbro peregrinare per la città di Parigi.Un appunto a parte merita Aragon, ritratto in occasione di una conferenza tenuta alla Sorbona. Per Aragon l’apprezzamento è totale, in controtendenza rispetto all’opinione diffusa negli anni Cinquanta – la critica giunse infatti a valorizzarlo più tardi – , e a tal punto che l’intero testo vuole essere un’estensione della sua orazione su Petrarca, attraverso la creazione di infiniti connubi all’insegna dell’originalità. «E Aragon […] fece semplicemente notare […] che l’originalità di Petrarca consiste proprio nell’arte della digressione».Il mondo musicale è presente sotto varie forme, che si avvalgono della citazione sonora diretta, come è il caso del Concerto di Mozart sopra indicato, o del motivo della canzone Bébert, oppure del richiamo al nome dell’autore. Così Wagner chiude una serie di rinvii a una musica più popolare, che risuona nelle canzoni accennate dal personaggio femminile: queste ultime si inseriscono perfettamente nello stile dello Chat Noir – si veda nuovamente Bébert e il repertorio di Fréhel – e al mondo infantile delle filastrocche, quale il Gentil Coquelicot dell’esordio («J’ai descendu dans mon jardin/ pour y cueillir du romarin»). Al mondo fiabesco dell’infanzia è possibile associare anche il breve passaggio intonato dalla ragazza quale variazione della fiaba di Cappuccetto Rosso: «E ora vedrete/Come la fanciulla/Si lascerà sedurre/Dal lupo!».Se l’arte pittorica vede un breve richiamo, già ricordato, a Degas e a Matisse, il mondo del cinema affiora, nelle maglie del testo, attraverso l’omaggio a Mac Sennet (Michael Sinnott), il re del cinema muto, a cui questo cortometraggio è dedicato, e ad alcuni cineasti, cari amici di Godard: Georges Franjus, nel testo «Père Franjus», «Max», Max Ophuls (o Max Ophüls, pseudonimo di Maximillian Oppenheimer), annoverato tra i tedeschi amati, al pari di Goethe e Wagner, così come «Maurice», dietro cui possiamo scorgere Éric Rohmer, nato Maurice Henri Joseph Schérer, germanista prima ancora di aver intrapreso la carriera cinematografica a fianco di Godard nella Nouvelle Vague. Scomparso proprio in questi giorni, Rohmer è consegnato al testo di Godard attraverso l’intimo richiamo al suo vero nome. Una geografia estremamente ricca, dunque, quella di Godard, che dall’acqua emerge, prende forma e si racconta.La sceneggiatura di Une histoire d’eau non ha visto sinora un’edizione in lingua italiana: ne viene pertanto proposta una traduzione qui a seguire.

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